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Quo Vadis Café! Stampa E-mail
Scritto da Luca Gazzetti   
mercoledì 11 giugno 2008

Come definirmi? Vagabondo. Sì: incapace di restare rinchiuso tra le quattro mura di casa, anima libera e sensibile, devo andare. È più forte di me, non posso combattere contro me stesso, contro il mio spirito libero, parte di quei ribelli vagabondi, degli arrabbiati metropolitani e degli anarchici non riconciliati che hanno attraversato i secoli dell'umanità.
Lascio il mio palazzo, la mia gabbia di cemento e finalmente posso respirare, vedere il cielo. La volta stellata ricorda l’infinità dell’universo, corpi che ardono lontano da noi, lontano dalle nostre concezioni, da quelle piccolezze che a noi paiono grandiosità.
Si viaggia lontano, osservando gli astri… tutta un’altra concezione di ogni cosa che ci circonda.
E si riesce meglio a contemplare l’emozione della notte, perfino le tonalità di chiaro-scuro delle luci notturne.
Un sax suona solitario e mesto nella notte illuminata dai neon, che rischiarano le strade, le luminescenze delle vetrine, le insegne di diverse forme e colori…
E si riscopre la felicità di uscire da un parcheggio fisico e mentale assaporando il fascino del vuoto: sembra che vi sia il nulla, invece vi è un intero mondo intorno a me, che spesso il mio occhio e la mia mente impegnati altrove non riescono a cogliere.
Il mondo della notte.
L'erranza, il viaggio, l'avventura, la scesa agli inferi; il labirinto, le città, le megalopoli; le distanze, gli abbandoni, i passi perduti; l'Occidente e l'Oriente...: un "teatro mobile" della vita nomade e degli artisti-viandanti. Per chi vagabonda, novello argonauta del duemila, diviene indispensabile il viaggio fantastico, il viaggio sentimentale seguendo il vento. Nel tentativo di inseguire un’improbabile Arianna che cerca di illuminare i passi con la sua fiaccola. Per farci uscire dal nostro labirinto di follia. Nessuna meta se non l'oblio: come possiamo chiedere dalla vita se non un senso alle nostre giornate sempre uguali nella loro monotonia, tra queste strade, questi palazzi, questi lampioni che illuminano di rosa e bianco l’oscurità di notti sempre più cupe e malinconiche, senza mai peraltro rischiarare quanto di più recondito e prezioso teniamo dentro di noi, così in profondità da non essere illuminato da nessun tipo di luce?
Poi, un insegna. Ecco il bar, il mio rifugio: Quo Vadis Café.
Giangi, dietro al bancone, mi sorride: «Dove vai?» chiede.
Già: Quo Vadis - Dove vai? Bella domanda. Mai nome di  locale è stato così azzeccato.
«Beato chi conosce la risposta: dove vado, chi sono. Vedo verso il mio destino, alla deriva in quel grande mare chiamato Vita. Lottando ogni giorno per non finire a fondo. Cercando chi mi indichi il senso di quest’assurdità chiamata esistenza.»
«Illuso. E tu credi di averla trovata?»
«No. Per questo cerco. In questa tempesta ci si aggrappa a salvagenti improvvisati, che diano uno scopo, una ragione per alzarsi la mattina e tirare avanti. Per ora vago. La tristezza come unica compagna.»
«Eppure ti ho visto ieri, non mi sembravi così.»
«Ieri c'erano Abba, Tommy, Ilvio, Nando, Sandrone... tutti i compagni d'avventure. Con loro una serata non passa, ma vola. La loro compagnia mi è stata provvidenziale. In questo mare in tempesta ci si aggrappa appunto a salvagenti, che cambiano di volta in volta: amici, forse l’amore, gli affetti o i sogni. Qualcuno o qualcosa che dia la forza. Finchè non scopri che la tua fame di vita ha bisogno anche di altro. E allora riprendi a cercare, a vagare... chissà mai se riuscirò a trovare?»
«Saresti fortunato: c’è chi vive un’intera esistenza ricercando. Senza mai trovare. - poi Giangi scuote la testa - Ti porto una birra?»
Lo capisco: a volte è meglio lasciar perdere. Inutile tormentarsi l’anima gettandola in ogni storia, sempre in cerca di nuove emozioni da vivere. Perché, in fondo, i vagabondi metropolitani sono anime sensibili. È proprio questa sensibilità estrema a dannare le loro anime, costringendoli a far loro ogni problema del mondo.
E ciò che per altri potrebbe sembrare futilità, per un’anima sensibile diviene il peggiore dei tormenti.
Insuperabile la situazione di piena realizzazione quando ci si mette al bancone di un pub ascoltando musica soffusa, pacata, in compagnia dei propri pensieri. Specie se in quel pub si diviene abituali clienti perché ivi si trova quella sensazione, quelle emozioni, perfino quel calore umano che altrimenti viene negato.
Il locale è intimo, dà modo di pensare, soft come la notte.
Rimango sul bancone di mogano scuro a gustarmi la freschezza della birra, assaporando patatine. E ciò che rende bella la vita: gli amici, gli affetti, qualcosa che dia un senso a tutto. Forse Amore. No, è il peggiore dei sentimenti, quello che più fa soffrire, annichilisce il corpo, umilia l’anima. Amore fa rima con orrore… a-more… a- morte!
Vita folle, che ci spinge a vagabondare nella notte come anime in pena alla ricerca del proprio IO, spingendoci a porci all’infinito un’unica domanda: Quo Vadis? Dove andiamo?
Verso il nulla? Verso il nostro destino? Verso l'abisso o verso la felicità?
Nessuno lo sa. Rimane sempre e solo...QUO VADIS?

 

 

BIOGRAFIA AUTORE 

Luca Gazzetti vive e lavora a Sassuolo. E’ appassionato di scrittura.



 
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