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Il pesce fresco di don Tano Stampa E-mail
Scritto da Luca Bedini e Francesco Martignoni   
lunedì 12 giugno 2006

Cosa fare a Sassuolo se sei un boss mafioso...

A Sassuolo tutti i venerdì mattina, nei primi anni settanta, una Centoventotto rossa partiva da Piazza Grande e percorreva l’autostrada fino a Bologna. La guidava un immigrato siciliano, Domenico Panico, che giunto all’aeroporto caricava alcune ceste e tornava a Sassuolo. Il carico veniva consegnato puntualmente all’albergo Leon d’Oro, situato allora all’incrocio tra via Pia e via S.Giorgio.
Qui le ceste, contenenti pesce fresco del mare di Sicilia, venivano aperte e il loro contenuto cucinato e servito la sera stessa per un ristretto numero di invitati
Queste cene venivano offerte dall’ospite che soggiornava all’attico dell’ultimo piano.
Il suo nome era Gaetano Badalamenti, meglio conosciuto come don Tano.

Gaetano Badalamenti è stato in confino a Sassuolo a metà dei '70
Uno dei più famosi scatti di Tano Badalamenti

Don Tano, siciliano di Cinisi, era a Sassuolo al confino di polizia perché ritenuto “persona socialmente pericolosa”. Ciò comportava per lui l’obbligo di non abbandonare il territorio comunale e di soggiornare nell’albergo dove sarebbe stato periodicamente controllato dalle forze dell’ordine.
Quasi nessuno a Sassuolo, e forse pochi anche in Italia, sapevano che lo Zu’ Tano, come lo chiamavano al suo paese, era al vertice più alto di Cosa Nostra essendo uno dei componenti del triumvirato che in quegli anni governava la mafia siciliana. Le altre due figure erano Totò Riina per i Corleonesi e Stefano Bontade, rappresentante delle famiglie palermitane.
Badalamenti arrivò a Sassuolo, per ordine della magistratura, nel 1972 e si presentò come stabilito dalla legge al sindaco e alla stazione dei carabinieri.
Pur essendo storia di trent’anni fa in molti se lo ricordano, ma nessuno immaginava il reale motivo per il quale questo signore siciliano fosse stato confinato a Sassuolo. Un uomo che non rideva mai, una persona elegante, dai modi distinti, educato e generoso con tutti, in particolare con gli avventori abituali del bar dell’albergo: così lo descrivono alcune persone che cenarono con lui ma che preferiscono rimanere nell’anonimato.
Ne esce insomma il quadro di una persona all’apparenza per bene e abitudinaria. In tanti confermano il fatto che la presenza del boss sul nostro territorio non ebbe nessun effetto visibile; non procurò mai fastidi e non tentò di organizzare intorno a sé una rete malavitosa, nonostante i legittimi timori della polizia e dei politici locali. Al massimo ci si ricorda di lui per alcuni comportamenti “particolari”.  Sappiamo che si faceva servire dal barbiere soltanto quando il locale era vuoto e che, mentre attendeva, rimaneva seduto stando ben attento a non dare mai le spalle alla porta d’ingresso.
Tutto questo all’apparenza perché, ascoltando invece altre testimonianze, si ricava l’impressione che, pur lontano quasi 1000 km da casa, il boss mafioso mantenesse tutta la sua influenza.
Parliamo con un sacerdote che abitava a Sassuolo in quegli anni, il quale pur non volendo essere nominato perché “con persone così non sa mai”, ci racconta di quando, un mattina, un autotrasportatore sassolese gli chiese se aveva notizia di qualcuno che affittasse un appartamento in centro a Sassuolo. Ne aveva bisogno per un suo conoscente e la questione era piuttosto urgente poiché se non avesse risolto in fretta il problema i suoi camion per la Sicilia non sarebbero potuti partire.
Il conoscente, naturalmente, era don Tano.
L'hotel di Sassuolo dove alloggiava Badalamenti
L'albergo Leon D'Oro, nei '70, era all'incrocio tra via San Giorgio e via Pia

Il sacerdote non si ricorda come andò a finire ma proprio in quel periodo il padrino di Cinisi fu raggiunto a Sassuolo dalla moglie e dai due figli e si trasferì in un comodo appartamento in via Pia.
In un suo articolo sul delitto Pecorelli, Attilio Bolzoni, inviato di Repubblica, parla del soggiorno di Badalamenti a Sassuolo. 
Racconta che qui c’era un giovane capitano dei carabinieri che, come disse lo stesso Badalamenti ai magistrati siciliani - «mi trattava come un delinquente».
Bastò una telefonata ai potenti cugini Salvo a Palermo perché all’ufficiale fosse raccomandato dai suoi stessi superiori di trattare don Tano come un ospite di riguardo.
Purtroppo, di questo capitano alla caserma dei Carabinieri di Sassuolo non c’è traccia. Pur risalendo ai militari allora di stanza nella caserma cittadina, non si riesce a parlare direttamente con nessuno. Alcuni sono morti, di alcuni si sono perse le tracce, e altri, pur vivendo ancora a Sassuolo, non vogliono parlare con noi nemmeno al telefono.
Sulla presenza di Badalamenti a Sassuolo però non si riescono a consultare documenti scritti: non sono accessibili quelli in caserma mentre quelli dell’archivio riservato del Comune saranno visibili  50 anni dopo la morte del soggetto.
Don Tano passò a Sassuolo poco più di due anni, poi tornò in Sicilia. Da qui, alla fine degli anni settanta, fu costretto a fuggire in sud America, ricercato dalle forze dell’ordine e bersaglio della guerra di mafia scatenata dai corleonesi.
Del suo “soggiorno obbligato” nella nostra città rimangono indubbiamente più ombre che luci.

(la storia di don Tano Badalamenti a Sassuolo è raccontata, dagli stessi autori, anche in questo video)



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