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La Biagi e le "piccole" Stampa E-mail
Scritto da Daniele Dieci   
giovedì 10 gennaio 2008

“Le piccole aziende hanno meno paura d’assumere”. Minozzi della CNA: “La Biagi oltre che far risparmiare qualcosa permette di verificare l’effettiva capacità del candidato e  la sua compatibilità con l’ambiente lavorativo”. “Se utilizzata in modo corretto, sono convinto che la legge permetta un periodo di precariato che non duri poi per tutta la vita, ma che sia solamente finalizzato all’insegnamento del mestiere”

E le piccole e medie imprese come hanno vissuto l’innesto della Legge 30? Questo, in sostanza, il quesito che abbiamo sollevato a Mauro Minozzi, responsabile della CNA (Confederazione Nazionale dell'Artigianato e della Piccola e Media Impresa) di Sassuolo. I rapporti lavorativi infatti, all’interno di un’impresa che non superi i 100 dipendenti, sono assolutamente diversi da quelli che si possono instaurare in una delle tante grosse fabbriche della zona. Basti pensare all’artigiano, che solitamente non ha più di 2-3 dipendenti, o a un bar, che con un pugno di commessi riesce a mandare avanti agevolmente la propria attività. La novità quindi della Legge 30, uscita in modo definitivo nel 2003, viene a lavorare su meccanismi estremamente differenti, e forse più complicati. Nelle aziende affiliate alla CNA importante è il rapporto umano tra datore di lavoro e dipendente, spesso fianco a fianco nei luoghi di lavoro. Cerchiamo di capire, affidandoci ad un esperto del settore, cosa davvero è cambiato dal 2003 ad oggi.
Dottor Minozzi, la Legge 30 ha aiutato o ha penalizzato l’assunzione nelle aziende affiliate alla CNA?
Sicuramente ha rappresentato una facilitazione, ha tolto la paura d’assumere. In aziende con pochi lavoratori, un periodo di prova come può essere quello di un contratto a tempo determinato, oltre che far risparmiare qualcosa economicamente permette di verificare l’effettiva capacità del candidato e  la sua compatibilità con l’ambiente lavorativo.
Certo, questi sono aspetti del tutto positivi: quanti sono però i contratti che si trasformano, in un secondo tempo, in rapporti continuativi a tempo indeterminato?
Nelle nostre aziende la percentuale raggiunge tranquillamente il 70-80%. Al giorno d’oggi bisogna rendersi conto che insegnare un mestiere diventa dispendioso, soprattutto perchè chi esce da istituti tecnici o università specializzate ha una formazione di base, ma non utilizzabile da subito nel concreto. E’ impossibile infatti pretendere che la scuola possa creare lavoratori già autonomi: è importante sottolineare che spesso viene richiesta una preparazione mirata, per l’utilizzo di macchine alquanto complesse.

Mauro Minozzi
Mauro Minozzi, della CNA di Sassuolo

La Legge in sé è quindi da ritenersi corretta?
La Legge rappresenta un passaggio davvero importante. E’ ovvio che non tutti i datori di lavori sono dei santi, ma il testo di legge dà la possibilità di agire legalmente senza subire perdite di tempo e denaro. Per esempio, la Legge 30 ha introdotto il lavoro a chiamata, molto utilizzato nelle attività commerciali come bar e negozi: prima la zona era totalmente deregolamentata, e tanti erano i lavoratori pagati in nero.
Inutile però nascondere il fatto che questa legge abbia portato con sè il problema del precariato, del lavoro instabile che non concede al lavoratore la serenità di programmare la propria vita.
Noi siamo contro al precariato. Se utilizzata in modo corretto, sono convinto che la legge permetta un periodo di precariato che non duri poi per tutta la vita, ma che sia solamente finalizzato all’insegnamento del mestiere, permettendo parallelamente al datore di risparmiare qualcosa in termini di retribuzione. Il discorso è però ovviamente diverso per bar e ristoranti, dove viene utilizzato, come dicevo prima, il lavoro a chiamata. Comunque, dal nostro punto di vista va tutto abbastanza bene, e non troviamo particolari passaggi della legge da modificare.
Le piccole e medie imprese stipulano prevalentemente contratti a tempo determinato; gli altri tipi di relazione lavorativa previsti dalla Legge 30 non sembrano vantare un grande riscontro; può essere una sintesi corretta?
Sì in effetti le nostre imprese prediligono i contratti a tempo determinato. Del lavoro a chiamata ne abbiamo già parlato; per quanto riguarda le collaborazioni a progetto non esiste un utilizzo esteso, ma in generale vengono realizzati dal datore di lavoro in maniera corretta. Ovvio, questo non accade sempre, ed è anche nostro compito ricercare l’effettiva presenza di un progetto che coinvolga il lavoratore in causa. Dai nostri dati possiamo notare come questa tipologia di contratto interessi prevalentemente collaboratori giovani, che si affacciano per la prima volta sul mondo del lavoro, e anziani, in grado di riorganizzare mediante la loro esperienza un’impresa di piccola grandezza. E’ importante sottolineare che non esiste più un unico sistema di lavoro, ma esistono più sistemi, e la flessibilità della legge trenta ben si adatta a questa realtà.

 

“Il ‘nero’ uccide le aziende corrette, ma in molti vi ricorrono per sopravvivere…”

“Siamo contro il lavoro nero, ma siamo consapevoli che alcune aziende se non fanno così scompaiono.” Così Mauro Minozzi, responsabile della CNA di Sassuolo, interviene sulla controversa questione del lavoro sommerso. “Il lavoro nero – spiega Minozzi – spesso è l’unica possibilità  che hanno diverse imprese per sopravvivere. La nostra associazione è comunuque fermamente contraria al lavoro nero, perchè siamo consapevoli che questa pratica sta uccidendo le aziende corrette.” Come si può evitare quindi che piccole e medie imprese siano costrette a ricorrere a queste misure illegali per rimanere sul mercato? “ Una risposta è proprio la Legge 30, ma un grosso aiuto può derivare dalla diminuzione del cuneo fiscale.” E intanto i lavoratori guadagnano sempre meno. “E’ vero, quello che portano a casa i dipendenti non è molto, ma bisogna per forza intervenire sul costo del lavoro. Anche se lo stipendio è basso, è da considerare il fatto che al datore di lavoro quello stipendio costa più del doppio. E’ chiaro che una pressione fiscale così marcata gravi massicciamente sulle finanze dei ‘padroni’, dai quali dipende però il lavoro di tanti dipendenti.”



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