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Scritto da Lara Mammi   
sabato 30 ottobre 2010

Maledizione.

Ma io cosa ci faccio qui?

Ormai è troppo tardi per pensare ad una via di fuga. Hanno già chiuso le porte e le finestre sono troppo in alto anche solo per pensare di poterle scavalcare.

Mi guardo intorno e vedo sulle facce degli altri la stessa espressione stravolta che devo avere anche io. Dita che torturano le labbra nervosamente, sguardi che cercano gli angoli della stanza.

Cerco di tranquillizzarmi e di rallentare il mio respiro troppo corto. Mi ripeto dentro la mia testa: “Morirai quando sarai vecchia, al calduccio, nel tuo letto: non qui, non stanotte, non così…”.

E forse è anche vero, ma ora come ora non ne sono affatto convinta. I nostri sorveglianti si sono disinteressati alla nostra sorte, forse addirittura già annoiati di essere qui e ciondolano attorno a noi con le mani dietro alla schiena.

Sono solo 45 minuti, ma mai come in questo momento il tempo ha perso la sua valenza abituale. Mi giro verso il grande orologio appeso alla parete: sono già passati 10 minuti.

Che cosa mi sarà mai venuto in mente, di infilarmi dentro questa storia di mia spontanea volontà?

Ho cominciato proprio per starmene per i fatti miei, per raccontare i fatti miei, senza che nessuno potesse rompermi le scatole almeno fino a che non lo decidevo io.

E ora mi ritrovo in questa stanza, con una decina di altri perfetti sconosciuti, con il peso di dover fare per forza quello che di solito mi viene per caso. E con 27 minuti soli ancora a mia disposizione.

Chissà quanti scrittori ci sono seduti su queste sedie?..

Di certo, non quella seduta su questa sedia.

Me li vedo, fuori da qui, nelle loro stanze, da soli con le idee che ronzano nelle loro teste, con vecchi taccuini dalle pagine incurvate sugli angoli. Hanno le loro parole, per cercare di trasformare in carta la bellezza calda ed avvolgente del contrabbasso di Dave Holland, o lo strazio senza fine di una storia d’amore già conclusa, o semplicemente il getto di rabbia di una persona che si ritrova a vivere una vita che non voleva.

E io? Io non voglio essere uno scrittore. Non voglio finire come quel mio amico che, per pubblicizzare il suo libro, si è ritrovato di notte, in giro per Bologna, ad attaccare clandestinamente dei finti necrologi con il nome della sua protagonista.

Non voglio finire come quell’altro, il cui editore ha avuto la brillante idea di spiattellare il finale della storia proprio nel comunicato da inviare alla stampa.

E che dire di quel povero cristo che ha consegnato il suo lavoro e ne aspetta la pubblicazione già da due anni, sempre spostata al mese dopo, e intanto non scrive più, perché è sempre legato con la testa ed i pensieri a quel capitolo non ancora concluso?

10 minuti ancora. Ormai è quasi finita.

Voglio smettere di lamentarmi.

Voglio scrivere, come ho sempre fatto e come continuerò a fare, nonostante tutto.

Quello che mi manca è soltanto un buon inizio, poi le parole inizieranno a scorrere leggere, come la sfera su questa carta. Anche se il tempo a disposizione è veramente poco. Troppo poco.

Ci vuole un buon inizio, con un impatto forte. Appoggio la penna sul foglio.

“Maledizione.

Ma io cosa ci faccio qui?”.



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