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Un rivoluzionario di 95 anni Stampa E-mail
Scritto da Chiara Fiorentini   
domenica 13 giugno 2010

Mario Monicelli (da Wikipedia)
Mario Monicelli (da Wikipedia)
Biografilm Festival (Bologna) - La conferenza stampa di Mario Monicelli è stata veramente ricca. È difficile riassumerla senza non tralasciare qualcosa e rischiare di perdere qualche elemento del discorso, quasi monologo, che il grande regista ha tenuto per circa cinquanta minuti. Sentire un uomo della sua età parlare con un tale fuoco nell’anima è stato impressionante. La sua visione del mondo è scesa dall’alto come un fulmine che non ci si aspetta (per lo meno non ad una conferenza stampa all’interno di un festival cinematografico). Invitato a parlare del suo film in programma domenica 13 al Biografilm, Risate di Gioia (1960, con Totò e Anna Magnani)  che racconta l’altro lato della Dolce Vita - ovvero quello delle persone comuni e non dei divi raccontati da Fellini – Monicelli si è lasciando andare a considerazioni sullo stato del nostro paese negli anni sessanta e nella contemporaneità. Questo film, secondo il suo regista, è stata una pellicola di chiusura di un'epoca, di un certo cinema e del boom degli anni cinquanta. A un certo punto la generazione che aveva fatto sacrifici per uscire dalla distruzione del secondo dopoguerra aveva lasciato a quella successiva un paese in un particolare stato di grazia. Ma, purtroppo, c’è stato lo spreco, la follia di un percorso di rinuncia della solidarietà, di sopraffazione  e di chiusura verso gli altri pur di mantenere la propria condizione sociale ed economica. Questo film, raccontava Monicelli, doveva essere allegro, divertente ma ne è uscito un ritratto malinconico e triste, nostalgico di un mondo che stava finendo, di una condizione che si stava esaurendo e di un certo tipo di cinema che non si sarebbe più realizzato. È un film di passaggio tra un momento prima a quello della Dolce Vita, a quello di un mondo falso come quello odierno. Oggi, spiega rincarando la dose, la situazione è ancora peggiorata, la mancanza di solidarietà è giunta a livelli inimmaginabili. Ma questa non è una situazione solo italiana. Monicelli infatti osserva come la crisi della creatività e l’avanzamento verso la disparità e il privato siano realtà di tutto l’occidente. Un occidente che per centinaia di anni aveva dominato il mondo, saccheggiandolo e sfruttandolo, e che ora sta perdendo il suo primato. Ma si continua a festeggiare, si continua ad applaudire, a guardare le tette e i culi in televisione, si continua a ballare. Una grande Babilonia che prima o poi crollerà.

Anna Magnani e Totò in "Risate di gioia" di Monicelli
Anna Magnani e Totò in "Risate di gioia" di Monicelli
Ai giovani lancia un invito, o meglio un rimprovero. I giovani devono darsi da fare, unirsi tra loro, costruire delle comunità. Se avete qualcosa da portare avanti dovete farlo, incita Monicelli.  Ci si deve impegnare anche a costo di mettere a rischio la propria stabilità attuale: occupare le scuole, mandare via il preside, andare nelle piazze. Non una rivoluzione violenta, precisa, ma un sovvertimento è necessario. Non si può continuare ad applaudire, a essere spettatori non partecipanti, non va bene stare sempre davanti a uno schermo senza agire. Non basta andare in un arena ad applaudire il cantautore che dice “ma che colpa abbiamo noi della nostra società”, la colpa è nostra se non facciamo nulla. La classe dirigente, tutta la classe dirigente va cambiata. Non solo nella politica, ma pure nelle università, negli ospedali. Non si può accettare che ci siano persone potenti che controllano dei settori così fondamentali facendovi entrare solo i membri delle loro famiglie. Per non abbassare i toni se la prende pure con i grandi talk show della RAI: Ballarò e Anno Zero sono anche loro una parte fondate di questo establishement che crea degli show che avvallano tutto ciò che sta avvenendo. Sono spettacoli che non servono a nulla: si  parla, si discute e si chiude il tutto con una battuta che calma gli animi. Anche loro fanno parte della classe dirigente e vanno cancellati.

Infine, stemperando un po’ il discorso, rispondendo a una giornalista che gli chiede come  e se il cinema italiano contemporaneo può raccontare la situazione attuale, Monicelli ammette di non andare più al cinema da molto tempo. Non perché non lo ritenga meritevole ma perché è un uomo vecchio, si muove poco e male, non vede né sente più bene e quindi non è in grado di rispondere a questa domanda che tutti, a ogni intervista, gli pongono. Il cinema di oggi comunque, per quel poco che ha visto, non gli sembra che racconti l’Italia. Sono storie carine, i registi sono bravi ma non vede più nessuna eccellenza.

Dura e cruda è stata questa conferenza stampa. Ricca dicevamo in apertura. Certamente piena di concetti e di spunti di riflessione. Forse (forse nemmeno troppo) una visione un po’ estrema, legata pure a una nostalgia dei bei tempi passati: si stava meglio quando si stava peggio, come si suol dire. L’immagine del nostro paese che emerge dalle parole del grande maestro della commedia all’italiana non sono incoraggianti certamente e non fanno sorridere. Le Risate di gioia sono risate malinconiche.



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