“Pietro Marazzi? Era fatto così: batteva i pugni sul tavolo ma permetteva anche a te di batterli!” Parole e ricordi dell’ingegnere Enzo Vandelli, una vita nel mondo della ceramica: da quando Sassuolo era un semplice paesino fuori dalle vie di comunicazione, fino agli anni del boom e degli alti e bassi. Passando tra mille aneddoti…
 Enzo Vandelli "SONO NATO A SORBARA il 19 febbraio 1930. Mio padre era capostazione a Sassuolo. Studiavo Ingegneria a Bologna, come voleva mio padre per poter poi lavorare nelle Ferrovie. Alla fine degli anni ’40 a Sassuolo non c’era niente, era un paese agricolo che non offriva aspettative, fuori dalle grande vie di comunicazione, ma stava nascendo la Ceramica Marazzi. A 19 anni mi chiamò un parente del Dr. Pietro Marazzi, che veniva qualche volta in stazione, per dare una mano all’Ing. Lucchese. Aveva una montagna di disegni e mi disse: «Io non ci capisco niente, tu sei giovane, io ho fatto solo la guerra! Se tu hai tempo e ne hai voglia, ma senza interrompere i tuoi studi, devi darmi una mano ad interpretare questi disegni». Cominciai così a fare “l’interpretatore” di disegni, traducendoli in disegni schematici per le officine che avrebbero poi prodotto le macchine. L’ing. Lucchese, bravissima persona anche se ha fatto le sue follie, mi prese sotto le sue ali. Collaborai per la Marazzi senza mai interrompere i miei studi e il giorno stesso della laurea venni assunto, con un buonissimo stipendio: 100 mila lire. A quei tempi chi si laureava in ingegneria riceveva subito lettere con proposta di assunzione dalle grandi aziende come la Fiat o la Breda. Ma io avevo il mio posto, e soprattutto avevo buone prospettive. Lucchese mi diceva sempre: «Se tu stai qua ti prometto che ti faccio far carriera».”
"NEL 1955 DIVENNI DIRETTORE DI PRODUZIONE. A capo di tutti c’era il Dr. Pietro Marazzi, che faceva il pazzo ma non era pazzo, era una persona che sapeva quello che volevo e sapeva come ottenerla. Aveva una specie di mania religiosa, per cui abbiamo discusso tante volte. Era un padrone fatto così, che batteva e ti permetteva di battere i pugni sul tavolo, e per questo mi piaceva tantissimo. Era un ambiente simpatico, veramente piacevolissimo.”
"VISSI TUTTE LE RIVOLUZIONI DEL DR. MARAZZI. Tra gli anni ’50 e il ‘68 rifece la fabbrica tre volte. Questa è la sua, chiamiamola, pazzia. E perché? Perché gli veniva in mente di fare le piastrelle in un altro modo. Era sempre d’accordo sulle innovazioni. A quei tempi era importante, per imparare qualcosa, girare il mondo, perché qui non c’era nulla: sono stato in Germania, in Inghilterra , in Francia, negli Stati Uniti. Andavo a visitare le fabbriche che avevano un nome, niente di illuminante, però si raccoglievano idee, si valutavano i loro ed i nostri punti deboli. A Berlino in particolare incontrammo i fornitori delle materie prime per fare i lavandini ed ebbi l’occasione di visitare Berlino est. Ricordo che piansi, erano anni difficili, stavano costruendo il muro. Qui a Sassuolo eravamo tecnicamente indietro con i forni e le presse ma ci appoggiammo ad una cooperativa, la Sacmi. Era piccola, ed erano rossi come il fuoco ma facevano buone macchine, robuste, dei muli, come le chiamavo io. Dalla Barilla importai invece l’idea degli impianti di aspirazione, indispensabili per non soffocare nella polvere. Bisognava trovare quel che c’era, attaccarsi ai “birocci” disponibili. Anche copiare.”
 Muletto sassolese "LE CONDIZIONI DEGLI OPERAI, almeno alla Marazzi, erano discrete. Andavamo d’accordo con i sindacati e il Dr. Marazzi ci teneva in modo particolare, aveva fatto costruire anche una specie di super-ambulatorio per i suoi dipendenti. Io gli dicevo: «ma li dia all’ospedale queste cose che servono a tutti, non le tenga lei!». Per fare gli smalti si usavano l’arsenico e il piombo. Vedevo gente che perdeva i denti, sapevo della pericolosità ci certe cose. Cominciai, di nascosto dal chimico Dr. Morselli, a far diminuire e poi sparire prima l’arsenico, dopo il piombo. «Ma chi le ha detto di tirare via del piombo! Ecco perché lo smalto non viene bene!» - mi disse un giorno - «ma stia buono che vien bene lo stesso.» Lo levammo noi per primi a Sassuolo. Negli anni 60 non si usava più. Non si faceva niente alla Marazzi che il giorno dopo non si facesse da un’altra parte. Ci chiamavano i marziani. Cercavamo di essere sempre all’avanguardia.”
"A META' DEGLI ANNI '60 c’erano ancora i forni per la prima cottura e quelli per la seconda ma quando facemmo i lavandini, con una cottura unica, la domanda più spontanea che ci venne fu:«ma perché dobbiamo fare due cotture alle piastrelle se per i lavandini ne basta una?». In America avevo visto un forno che cuoceva su dei rulli, mi impressionò la semplicità. Ricordavo di questa possibilità di cuocere in monostrato e in un colpo solo, anche se subito venivano fuori delle piastrellacce, ma la strada c’era. Il Dr. Marazzi comperò allora a Collecchio di Parma una vecchia fabbrica in fallimento che trasformò in stabilimento pilota per fare la monocottura. Mi aveva dato ragione. Aveva sempre avuto il brutto vizio di permettere a chiunque di visitare lo stabilimento a Sassuolo. A me scocciava parecchio, ci “scervellavamo” per fare qualche cosa poi l’idea ci veniva subito copiata. «Così siam padroni di fare la monocottura in segreto» mi disse quando comprò a Collecchio. Funzionò. Dopo un anno a Scandiano venne organizzato il primo impianto ufficiale per la monocottura mentre a Sassuolo «facciamo una cosa» disse « visto il successo della monocottura distruggiamo tutti i forni a tunnel». Io ero inorridito:«ma ci vogliono i miliardi!», e lui: «te non ti preoccupare! ». In fondo, i soldi erano suoi. Ci siamo fatti fare i forni dalla Siti, faticando a convincere il padrone, che non li faceva a rulli ma a piastre. Buttarono giù due forni a tunnel che mi veniva da piangere, erano nati con me.”
"FU POI LA VOLTA DELLO STABILIMENTO IN SPAGNA, dove la mano d’opera costava pochissimo e c’era già un mercato. Là le condizioni di lavoro erano pessime, gli operai facevano pena. Aprimmo anche uno stabilimento di Agnani, sotto Roma, dove rimasi come direttore per 5 anni. Non fu un’esperienza positiva. Mi trovai comunque bene finché non esplose il ‘68, i primi contratti sindacali, le prime minacce, ho visto anche delle pistole. Le persone erano buone ma erano sindacalizzate. Dopo Anagni rientrai a Sassuolo per dare le dimissioni, avevo quasi 50 anni, ero stanco. Volevo fare il libero professionista, ma non me lo permisero. Restai fino agli inizi degli anni ’80 come venditore, intermediario con le grandi imprese di costruzione. Dopo la morte del Dr. Marazzi e con il dubbio che volessero coinvolgermi nell’esperienza americana, cosa che non desideravo assolutamente, ripresentai le dimissioni per dedicarmi finalmente alla libera professione. Niente da fare. Cedetti alle richieste del Commendator Gambarelli e dopo alcuni anni accettai di aiutare i fratelli Cuoghi dell’Edilcuoghi, che erano in forte crisi. Mi ritirai che l’azienda si chiamava già Edilgres, eravamo nella metà degli anni ‘90.”
"NEGLI ANNI DEL BOOM SI STAVA BENE. Non avevamo paura di lavorare 8, 10 o 15 ore al giorno, era una soddisfazione. Ecco perché anche a 80 anni mi ritengo soddisfatto. La mia è stata una vita bellissima: ho girato il mondo, ho fatto la vita ingegneristica manageriale, ho fatto quello che desideravo.” Silos nel Distretto di Sassuolo
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