 Don Luca Ferrari Cinque comunità sassolesi hanno aderito, in questi anni, a Familiaris Consortio, il Movimento nato dall’opera di don Pietro Margini e che ora vede tra i riferimenti don Luca Ferrari, sacerdote che a Pontenuovo ricordano bene. Ma come vivono i membri di questa comunità? Perché lo fanno? E come la pensano coloro che vedono figli o fratelli scegliere questa strada?
A seguire, anche la possibilità di scaricare una tesi di laurea approfondita sul Movimento.
Vicinanza e distanza. Ci sentiamo di sintetizzare così, in due opposti, il tentativo di raccontare quello che accade nelle comunità legate al movimento Familiaris Consortio (www.familiarisconsortio.org ), che molto spesso a Sassuolo, e quindi sulla copertina del nostro ultimo numero, viene identificato come “quello di don Luca”. Di certo c’è, tra gli aderenti al movimento, una vicinanza spirituale, di intenti e per certi versi fisica fuori discussione. Ma poco fuori da esso, al contempo, c’è una certa distanza, innanzitutto comunicativa, nel senso che a Sassuolo tanti ne discutono senza saperne un granché, un po’ per pudore perché per troppe cose restiamo un paesotto di provincia che sembra abbia paura di andare oltre certe barriere, un po’ perché qui si parla anche di scelte radicali che per forza di cose tendono a creare distanza. E non ultimo, nell’opinione di molti, perché lo stesso Movimento per sua costituzione tende a rimanere lontano dal resto del mondo. Nelle righe che seguono non si ha certo la pretesa di dare un quadro esaustivo della questione. Anzi. La cosa è articolata e inoltre riguarda lo spirito delle persone, questione che più intima non si può. Il nostro obiettivo è piuttosto quello di dare qualche elemento in più al lettore, qualche riferimento, affinché egli si possa fare un’idea autonoma. Che è sempre il primo passo per colmare una distanza. Cosa importante in situazioni del genere, dove si respira tanta gioia da una parte (all’interno del Movimento) contrapposta però a diverse tristezze dall’altra (all’esterno di esso).
COS'E' IL MOVIMENTO Familiaris Consortio è un movimento ecclesiale. E’ legato a Sassuolo perché è indiscutibilmente intrecciato con un sacerdote, don Luca Ferrari, che dal 1992 al 2001 è stato curato presso la SS.Consolata. Una figura carismatica, che viene ricordata e frequentata ancora da molti nostri concittadini. Il Movimento riunisce sia laici che chierici. Al suo interno c’è una grande comunità di famiglie, l’Associazione mariana Comunità delle Beatitudini, di cui don Luca è assistente spirituale. L’Associazione (una sorta di “grande comunità”) riunisce 36 “piccole comunità”, a loro volta costituite da 3-6 famiglie ciascuna, solitamente con un numero importante di figli, dislocate tra le province di Modena e Reggio (vedi cartina a fianco, ndr). 5 di queste comunità hanno avuto origine a Sassuolo. Nel Movimento c’è anche un’Associazione di Chierici, oggi composta da 11 sacerdoti diocesani, 4 diaconi in cammino verso il sacerdozio e 4 giovani in formazione. Don Luca ne è Responsabile. Presso la Parrocchia di San Francesco da Paola (quella dell’Ospizio di Reggio, di cui lo stesso don Luca è parroco) c’è l’unica esperienza di comunità residenziale di sacerdoti dell’associazione. Tra l’altro, l’Associazione di Chierici è stata riconosciuta dal Vescovo proprio l’8 dicembre scorso. Uno spazio fondamentale all’interno di Familiaris Consortio l’ha anche il Movimento Giovani. Qui, per motivi di spazio e per i legami che ha con Sassuolo, affronteremo soprattutto, però, l’Associazione di Famiglie “Comunità delle Beatitudini”.
ORIGINI Il Movimento ha origini ormai lontane: nasce dall’opera di don Pietro Margini (tra l’altro, secondo sua stessa testimonianza, miracolato per intervento della Madonna durante una grave malattia nel 1944), prima curato a Correggio dove già nel ’57 nacquero le prime comunità famigliari e poi parroco a Sant’Ilario d’Enza dal 60’ al ’90. E’ proprio nel paese reggiano dove ancora oggi si registra il maggior numero di piccole comunità famigliari: ben 28. Dopo la morte di don Pietro nel 1990, si ritrovarono due testamenti spirituali, come ci spiega don Sergio Billi, sassolese, oggi diacono presso la casa di formazione dell’Ospizio: “Uno dei testamenti fu lasciato alla parrocchia e uno al Movimento. Passaggio decisivo per approfondire la coscienza che le comunità delle famiglie fossero sì nate all’interno della parrocchia ma che avessero vita autonoma.” Da qui una presa di coscienza importante, che ha portato ad un percorso interno ed infine al riconoscimento dell’Associazione di Famiglie da parte della Curia nel 2006 (quindi prima della successiva Associazione di Chierici).
COME VIVONO E PERCHE' Premessa: esulando un attimo da questo contesto, è noto come possano essere tanti i motivi che spingono una persona alla scelta di vita comunitaria. E non sono solo motivi legati alla religione: basti pensare alle tante esperienze dei sessantottini, ad esempio. Ogni esperienza ha le proprie peculiarità. Per quanto riguarda la Comunità delle Beatitudini ne abbiamo parlato con Stefano Zanni, 39nne sassolese, vicario della grande comunità, membro di uno dei cinque piccoli nuclei sassolesi: “Siamo stati la seconda comunità in paese, 8 anni fa.” Stefano adesso vive con la famiglia a Reggio, ma continua a far parte a tutti gli effetti della comunità sassolese: la vicinanza fisica non è assolutamente requisito necessario. E’ probabile (anzi, per tante famiglie di Sant’Ilario, ad esempio, è certo) che altri piccoli nuclei abbiano deciso di condividere anche una chiara vicinanza fisica, ma ogni comunità decide da sé. La comunanza è innanzitutto spirituale. Ma da dove nasce questa esigenza? “Da una chiamata, da una vocazione - spiega Stefano - Ho sempre vissuto in parrocchia. A Pontenuovo c’erano anche gli scout: già in quel percorso feci diverse esperienze di vita comunitaria. Sono sempre rimasto affascinato da un desiderio, quello di avere amici per tutta la vita: cioè avere qualcuno che condividesse il mio stesso desiderio per aiutarci, custodirci e crescere questa amicizia.” In sintonia con Manuela, che sarebbe diventata sua moglie, ha così cominciato a guardarsi intorno per capire se ci fosse qualcosa che si avvicinasse a quella loro vocazione. E l’hanno trovata nello stile di altre famiglie durante momenti di vita condivisa, magari tra giovani o scout. E così hanno cominciato ad entrare in contatto con aderenti al Movimento. Don Luca nel frattempo era già a Pontenuovo, ma Stefano racconta come non avesse mai percepito il legame che ci fosse tra il curato e la comunità. Comunque, ecco che Stefano e Manuela fondano assieme ad altre famiglie “la comunità Chiesa sposa di Cristo cercando di vivere il mistero del nome che portiamo e cercando di comprendere qual è il nostro posto nella Chiesa.”
 Stefano Zanni e don Sergio Billi La grande comunità ha una Regola che vale come riferimento per tutte le piccole, ma ogni piccola comunità ne ha una particolare “declinata secondo la propria spiritualità. Ad esempio: la Regola parla di vita accompagnata da preghiera costante, ma nessuno ti dice quanto devi pregare.” Le famiglie della comunità di Stefano hanno deciso di incontrarsi una volta alla settimana per pregare e ragionare su tutto quello che accade. “Poi c’è comunque una quotidianità più spicciola. Ad esempio quando i figli erano piccoli le mogli che non lavoravano si vedevano spesso durante il giorno per aiutarsi.” Ogni anno, una settimana viene dedicata ad un periodo di vacanza comune. E per quanto riguarda la condivisione dei beni? “Posso parlare per la mia comunità: si parla di condivisione, di comunione in generale. Non c’è un livello da raggiungere, ma una direzione da prendere. Tra gli altri nuclei c’è di sicuro chi avrà deciso di aiutarsi anche attraverso una forma economica concreta. Noi, nella nostra piccola comunità abbiamo aperto un conto corrente che gestisce una persona, nato per fare delle cose insieme (la settimana di vacanza, ndr), senza mettere in difficoltà nessuno, senza che gli altri sappiano quanto uno riesce o vuole versare.” Ma cosa ne pensa, Stefano, dei cristiani che non vivono in comunità? Come ci si rapporta? “La vita comunitaria risulta essere una palestra per imparare a volere bene ad altre persone. Il fatto di aver scelto la vita comunitaria non è una scelta di esclusione di altre persone, ma è il modo migliore per imparare a dilatare il cuore verso gli altri.”
REALTA' CHE SI INTRECCIANO Altre realtà organizzate si intrecciano in qualche modo al Movimento. Non con legami ufficiali, beninteso, ma in un paio di ambienti in particolare si ritrovano nomi del Movimento: don Luca Ferrari, ad esempio, è un punto di riferimento di Giovani e Riconciliazione (www.giovaniericonciliazione.org ), gruppo nato dopo la Giornata Mondiale della gioventù del 2000. Stefano Zanni è invece vice presidente della Fondazione Incendo (www.fondazioneincendo.org ), dal latino "fare ardere", realtà con sede a Sassuolo che nasce nel 2000 da un grande desiderio “di portare il Vangelo ai giovani anche con mezzi di comunicazione moderna. La Chiesa è ricchissima di contenuti, ma stava un po’ perdendo il treno di internet.” La fondazione è legata a Claudio Costi, il ragazzo sassolese scomparso nel 1992. Si legge sul sito: “Nel 1992 la Parrocchia della SS. Consolata è segnata dalla scomparsa del diciottenne Claudio. Da questo evento doloroso ha inizio una storia di Grazia che intesse un cammino intenso di fede vissuta e condivisa. Muovendo dalla consapevolezza che i doni ricevuti nell'esperienza della vita cristiana richiedono di essere trasmessi, e con l'intento di onorare la memoria del nostro amico, il 22 gennaio 2002 viene costituita a Sassuolo Fondazione Incendo. Il 25 agosto dello stesso anno la fondazione ottiene il riconoscimento giuridico nazionale.” Alberto, il fratello di Claudio, è il presidente della Fondazione. “La sua e altre famiglie - ci spiega Zanni - hanno deciso di erogare il patrimonio iniziale.”
TRISTEZZA E "TESI" Prima si parlava di tristezza. Tra alcuni parenti, amici e conoscenti delle persone che hanno scelto la vita comunitaria ne abbiamo trovata parecchia. A volte fino alle lacrime. Sia chiaro: abbiamo incontrato anche chi appoggia o quantomeno rispetta la scelta del fratello o figlio che sia. Ma sono più le perplessità che le convinzioni. Esempi? C’è chi ci ha detto (richiedendo un anonimato che vogliamo rispettare per via dei legami famigliari o amicali coi membri della comunità) “non sappiamo niente di come vivono”, c’è chi ritiene che “l’influenza dei loro leader spirituali è troppo forte, soprattutto per personalità deboli, al punto da creare forti condizionamenti”, c’è chi, più ‘semplicemente’, ci ha detto che “è scelta legittima vivere in comunità, ma costringere anche i propri figli, ancora inconsapevoli, a fare quel tipo di vita lo è un po’ meno”. Opinioni che nascono, come tanti sostengono, da “una situazione di distanza e chiusura che percepiamo da parte del movimento verso l’esterno”. Il tutto, il più delle volte, dall’humus della parrocchia di Pontenuovo, molto spesso già autoreferenziale di per sé. Concetti in contrasto da quanto dicono nel Movimento e che si ritrovano anche girando per Sant’Ilario, paese di 9mila anime, dove l’arrivo nel 1960 di don Pietro e delle prime comunità da Correggio creò attriti tosti. Veri. Un piccolo paese, una parrocchia, un prete con forte personalità amato fino al midollo da taluni e discusso senza mezzi termini da altri. E la vicinanza fisica e quotidiana con chi non la pensava come te. Oggi anche a Sant’Ilario la situazione è meno tesa rispetto ad una volta, ma c’è ancora chi chiama quelli di don Pietro “i correggesi”, quasi a voler sottolineare il fatto che in fondo si è sempre trattato di una comunità separata. Anche qui occorre intendersi: nessuno di coloro con i quali abbiamo parlato a Sant’Ilario sostiene che queste persone facciano del male. Però, allo stesso tempo, nessuno nega gli attriti, le distanze. Le chiusure. In paese esistono scuole di ogni grado nate su iniziativa dei membri del Movimento. Non pochi credenti, tra l’altro, lasciarono la parrocchia per divergenze con don Pietro, per poi riavvicinarcisi solo dopo la sua morte e l’avvento di un nuovo parroco. Una buona parte delle 28 piccole comunità di Sant’Ilario vive nello stesso quartiere. In quel seggio elettorale sono stati numerosissimi i voti per la lista di Giuliano Ferrara alle ultime politiche. Per quanto riguarda le amministrative, invece, dopo la scomparsa della DC, buona parte del Movimento ha fatto riferimento ad una sorta di lista civica (Via Emilia) nata più o meno da propri aderenti. L’argomento comunità resta al’ordine del giorno nel paesino reggiano, tanto che esistono tesi di laurea che cercano di comprenderlo e che non è difficile reperire tra la stessa gente. Don Fabrizio Rinaldi è un giovane sacerdote della Diocesi di Modena-Nonantola che nel 2003 ha concluso il Baccalaureato con una tesi dal titolo Movimento mariano di famiglie “Comunità delle beatitudini” (clicca qui per scaricare rapidamente la tesi, in file pdf): tentativo di discernimento pastorale ed ecclesiologico. Nello scritto, Rinaldi si muove con abilità nel tentativo “di individuare ed evidenziare i punti principali attorno ai quali ruota la proposta del movimento; analizzare poi questi aspetti nel duplice confronto con la cultura italiana e con le indicazioni magisteriali circa la ecclesialità di una associazione.” Insomma: ragiona su come sta il movimento all’interno della Chiesa ma anche come esso si rapporta con la società. Senza paraocchi: nelle pagine si ritrovano sia quelli che secondo Rinaldi sono i principali aspetti positivi del Movimento ma anche “i principali rischi ed errori che sono stati riscontrati”. Occorre ricordare che dal 2003 ad oggi sono accadute tante cose e che sicuramente ci sono stati cambiamenti all’interno del Movimento dei quali codesta tesi non può avere tenuto conto. Ma come ci dice lo stesso autore “il valore della tesi, oggi, è soprattutto quello di mettere in luce alcuni punti dell’impianto formativo del Movimento, che si è mantenuto pressoché stabile nel tempo”. Da parte nostra è stato interessante notare come molte delle domande che si pone don Rinaldi siano poi quelle che si pongono, in maniera più terra terra, le persone interpellate sia a Sassuolo che a Sant’Ilario: in alcuni capitoli della tesi si affronta la questione della presunta (per alcuni) elitarietà delle comunità, del “rischio di separazione dal mondo”, si riflette su quella che molti hanno descritto come una “visione negativa” della sessualità, e ancora, (si parla sempre di presunte questioni) sulla dipendenza dalle figure di riferimento spesso accompagnata da pressione sulle scelte di vita, sul clima di segretezza, sull’utilizzo di ideali elevati come rifugio, sulla povertà proclamata e uno stile di vita ricco, sulla svalutazione di sacerdoti estranei al movimento. Rinaldi affronta tutte queste faccende senza pregiudizi, riportando per ogni passaggio l’opinione critica di è esterno alla comunità e quella a sostegno di coloro che invece ne fanno parte. Rilievi e pregi sono riassunti in forma ragionata anche nelle conclusioni. Tutto questo materiale è di facile accesso e comprensione: la tesi è depositata presso lo Studio Teologico Interdiocesano di Reggio Emilia. Ma vista la qualità e l’utilità del lavoro, abbiamo deciso di contribuire a metterla a disposizione di tutti (la tesi si può scaricare anche cliccando qui ).
CI PERMETTIAMO Ci permettiamo di chiudere questo articolo consigliando vivamente di cercare di approfondire la questione. Ripetiamo: in questo caso come mai, ci pare che la cosa più importante sia che ognuno abbia più elementi possibili per poter giudicare in autonomia. Primo, perché quando si parla di spiritualità, alla fine la scelta e il giudizio partono sempre da sé. Secondo, perché informarsi aiuta a colmare le distanze.
Noi faremo lo stesso. Probabilmente (anzi, quasi di sicuro) sarà il caso di riparlarne anche sul prossimo numero. Vedremo in che forma.
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