• Media e video
  • Interviste
  • Piastrellino
  • Inchieste
  • Arretrati
Fable Stampa E-mail
Scritto da Simone Covili   
giovedì 08 marzo 2007

Nuvole gonfie minacciano pioggia. Il sole scompare dietro la collinetta. I suoi ultimi raggi vividi come il fuoco, bruciano i contorni scuri dell’albero, ormai secco per il sopraggiungere dell’inverno, che si staglia come un uomo in preghiera sullo sfondo.
Immersi in quella scena sembra di essere dentro a una cartolina: Io, la bimba che guarda dalla finestra un tramonto lontano sotto lo sguardo attento di un uomo che stringe la bianca cornice del cartoncino che a breve invierà a qualche amico.
Questa atmosfera presagiva l’arrivo di una di quelle notti piene di spiriti e fate. Notti di vento quando i bambini si addormentano piangendo. In quelle serate buie il papà mi raccontava la favola che mi piaceva tanto; quella del piccolo servo di Oberon che scappa da Arcadia e che per anni si rifugia nel mondo degli uomini. Non vi nasconderò di averlo visto quel Fauno: era un bambino seduto su un muretto che osservava gli uomini dall’alto. Aveva un ghigno malefico nascosto da un rincuorante sorriso. Quando mi avvicinai a lui parlandogli venni colpita dal suo profumo di fiori che nascondeva l’olezzo del sangue: piccole gocce di pioggia rossa cadevano dall’orlo del suo cappotto. Pioveva sempre quando si mostrava ai miei occhi. Giocavamo insieme per ore e mi raccontava gli scherzi che aveva fatto durante la sua vita; non ci si credeva a quanti ne avesse fatti e dire che avrà avuto si e no dieci anni: quell’olezzo non lo abbandonava mai così come il dolce profumo. Non capivo anche se in quei giorni capire, infondo, non era importante. Ero ammaliata dai suoi occhi, dalle sue parole, anche se tutto in lui nascondeva qualcosa.
Lo sapevo ma non me ne curavo.
Gli raccontai anche quella storia che mi piaceva tanto e Lui l’ascoltò prima pensieroso poi  sorridente finché un baleno non attraversò i suoi stretti occhi.
Ma è tutto vero? Chiesi.
Sì mia dolce bambina è vero. Oberon ha spesso provato a riportarmi a casa, ma io sono sempre stato più astuto di lui.
Un giorno dalla mia camera lo vidi seduto fra le falangi dell’albero distese verso il cielo. Muoveva la mano come a chiamarmi: voleva che lo raggiungessi. La nonna era in casa; la salutai dicendole che andavo a giocare nei pressi dell’albero. Mi baciò e si raccomandò come sempre. La baciai forte: allora non sapevo ancora bene il perché di quel gesto così intenso. Il Fauno mi guardava come faceva sempre con tutti gli uomini: dall’alto verso il basso. Scese agile dall’albero. Quel giorno era bello e raggiante, nessun olezzo, nessuna oscurità, nessun liquido scarlatto. Anche la pioggia era sparita. Mi tese la mano e insieme ci incamminammo lungo il sentiero. Lui mi parlava raccontandomi storie fantastiche.
Ero felice, ogni preoccupazione mi aveva abbandonato insieme alle domande. Persino entrare nel fitto bosco non mi inquietava: le verdi chiome si chiudevano su di noi mentre
i rami ci salutavano. Poi il verde lasciò il posto al marrone che divenne arancione, giallo e infine oro. I colori si susseguirono in un calidoscopio di mutazioni. Quando tutto tornò chiaro li vidi, piccoli come topi, volteggiavano sulle nostre teste; grossi come tori, si inchinavano al nostro passaggio. Aure arcobaleno li avvolgevano completamente. La radura si aprì: Cinque erano le fate che si fecero avanti ed ognuna di esse portava con se un bambino. Il Fauno non era più un pargolo di dieci anni, o almeno non più il rubicondo essere che mi era apparso fino ad allora. Ora era proprio come papà me lo descriveva: tutto si era fatto chiaro. Olezzo, oscurità, sangue; il grosso uomo cervo seduto all’interno dell’antica quercia incavata, le gambe incrociate, fece cenno di avvicinarsi. Li vidi tutti cambiare quei bambini: Ognuno prese l’aspetto della fata che lo aveva accompagnato; ognuno di essi prese il posto del suo reciproco.
La fata tra i mortali e il mortale fra le fate.
Equo cambio perché non vi sia disequilibrio. Questa era la legge, sosteneva Oberon,
eppure il Fauno non cambiò. Rimanemmo lì fermi in quel luogo sacro dell’Arcadia, intrappolati tra il mondo delle fate e quello degli uomini.
Ora del mio mondo mi rimane un unico dolce ricordo e di quel ricordo mi avvolgo trasformandolo in barriera. Non sono ancora cambiata come gli altri compagni giunti fin qui. Mantengo tutti i miei tratti umani; niente occhi di foglia, niente voce sottile e capelli di selva. Ma eccoli che ritentano le loro magie. Mi concentro. Sono nel mio salotto. Ecco ONE. Guardo BIM BUM BAM, è pomeriggio e mia nonna mi prepara  la nutella. Mi prende in braccio per vedere insieme a me Lovely Sara, Anna dai Capelli Rossi e tutti i cartoni che davano alla televisione e loro, così, non hanno alcun potere su di me.

 

BIOGRAFIA AUTORE 

Simone Covili è nato nel febbraio del 1977, vive e lavora a Modena. Ha lavorato come Webmaster e tutt’ora amministra e pubblica i suoi racconti sul sito “XOMEGAP - luogo d’incontro di giovani autori Modenesi”. Coautore e curatore dell’antologia XOMEGAP – 18 racconti di sogni e ombra (Il Foglio 2006) e di due E-BooK dal titolo Hopless Night – VOLTI e PRESENZE, è tra gli autori dei racconti pubblicati sul blog di XOMEGAP (www.xomegap.net/blog) da cui ha tratto Bottoni, pubblicato anche sul portale Scheletri.

 

Simone Covili 



 
< Prec.   Pros. >