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Una donna per cui uccidere Stampa E-mail
Scritto da Mirco Bertolini   
martedì 07 febbraio 2006

Attraverso le vetrate dell’appartamento il rombo dei tuoni, che preannunciavano un violento temporale estivo, sembrava scuotere le fondamenta stesse del palazzo. Le strade che a quell’ora della sera brulicavano di persone intente a prepararsi per la vita notturna erano quasi deserte, come se la gente fosse tutta corsa a mettersi al riparo. E forse era così, pensò Mirco acquattato nel buio fissando la figura sensuale della donna in piedi di fronte al vetro, i cui contorni si stagliavano voluttuosi, scolpiti dalla luce colorata della miriade di insegne al neon che rischiarava la notte.
Il ragazzo uscì dalle ombre e si avvicinò silenzioso come un felino in caccia: - Sono qui. - si limitò a dire, con voce atona, come se ciò spiegasse tutto.
La donna si voltò, non pareva particolarmente sorpresa, l’unico tremito fu quello del ghiaccio nel suo drink. Lo fissò per qualche minuto come per convincersi che non fosse un illusione ottica, poi finì il whisky in solo sorso: - La mia guardia del corpo potrebbe essere qui da un momento all’altro…- mormorò. Non mentiva.
Mirco pensò al cadavere muscoloso disteso in fondo alle scale – No. Non verrà nessuno.
Il volto pallido di lei divenne ancora più bianco, pareva di poterla vedere brillare al buio, con i grandi occhi nocciola sgranati e le labbra scarlatte socchiuse e tremanti. Mirco prese la pistola infilata nel retro dei pantaloni e iniziò ad avvitare il silenziatore, una Walther PPK 7.65, compatta ma potente. Come se solo a quel punto avesse realizzato il destino che la attendeva lei lasciò cadere il bicchiere che si infranse a terra con uno schianto secco. Lui non si mosse minimamente.
- Sapevo che saresti venuto…ho cercato di convincermi del contrario, ho cercato di scappare lontano, ma in cuor mio ho sempre saputo che prima o poi saresti arrivato.
- Te l’ho sempre detto: quando spari a qualcuno un colpo alla testa e uno al cuore. – a Mirco pareva di sentire ancora il dolore delle cicatrici, ormai guarite, sulla schiena: quattro proiettili. Difficile sopravvivere a quattro proiettili, ma possibile.
Ormai lei piangeva silenziosamente, aveva la dignità di non singhiozzare, l’abbondante dose di alcool non era bastata per tenerla calma. – Come mi hai trovata?
Lui scrollò le spalle: - Ho i miei contatti, lo sai.
Lei lo sapeva, aveva sperato di poter scappare abbastanza lontano, ma per il mondo della malavita nemmeno la luna è abbastanza lontano. Le pareva di vivere da mesi in attesa di quel giorno.
Improvvisamente scattò verso di lui che trasalì, stava per premere il grilletto sensibilissimo quando capì che lei lo stava semplicemente abbracciando. La sentì scossa dai singulti mentre nascondeva il viso contro il suo petto:
- Perdonami…perdonami ti prego! Abbi pietà! – mormorò la giovane donna. Ormai aveva perso anche la dignità, pensò lui. Cercò di togliersela di dosso, ma lei lo stringeva troppo forte e si divincolava scuotendo i lunghi capelli scuri. – Se mi lasci tornare con te non avrai più di che lamentarti di me! Farò qualsiasi cosa, qualsiasi cosa!...- la voce le morì in gola quando lo fissò in viso. Una maschera marmorea in cui spiccavano gli occhi, due fessure brillanti di riflessi smeraldini. La bocca come una linea rossa, sottile e risoluta. Aveva sempre pensato che avesse un viso troppo bello, troppo delicato per quel lavoro, troppo per un killer. Un viso che sapeva essere totalmente rassicurante o una maschera di morte.
- Non voglio morire…non voglio morire…- singhiozzò con la disperazione nella voce.
- Nessuno vuole morire…- disse lui con calma -…anche quelli che pensano di volerlo. È quando ti trovi di fronte alla morte che impari ad apprezzare la vita…- dicendo questo il viso del ragazzo mostrò un lieve cedimento, gli occhi freddi si fecero lucidi e ed ebbero un tremito. Più di quanto un assassino potesse permettersi.
Ad un tratto il viso di Mirco si contrasse in un grido di dolore improvviso e scagliò via da sé la donna mandandola lunga distesa sul pavimento. Con la mano si tastò il fianco sinistro e ne estrasse con un ruggito di dolore quello che ci era infilzato. Un punteruolo da ghiaccio, di quelli che usati per rompere pezzi di ghiaccio da mettere nei drink…lo aveva tenuto in mano aspettando di riuscire ad avvicinarlo per pugnalarlo. La donna inginocchiata a terra lo fissava adesso con uno sguardo di sfida rassegnato, lo sguardo che un condannato rivolge al boia, sapeva di non averlo ferito a morte, non aveva toccato organi vitali.
Il sicario fissò prima la ferita poi lei con uno sguardo di irato disgusto: - Puttana! - sibilò, più che essere arrabbiato con lei lo era con sé stesso per aver abbassato la guardia. Eppure sapeva con chi aveva a che fare, un tempo l’aveva amata. Scacciò subito quel pensiero dalla mente, altrimenti non sarebbe riuscito a fare ciò che andava fatto.
- Ma cosa credevi? - ribatté lei con un ghigno - Credevi che sarei rimasta lì a farmi macellare come una vacca? Chi ti credi di essere?! -
 Lui la fissò stupito per quella reazione.
- Ti sei sempre preso molto sul serio vero? Non ho mai sopportato quel tuo atteggiarti da giustiziere senza macchia! L’ho sempre detestato!! - gli sputò addosso quest’ultima affermazione - Tu non sei nessuno! Sei un killer, sei uno che ammazza la gente per soldi, esattamente come me! Non ti permettere di giudicarmi, bastardo! - ormai la ragazza urlava come un’isterica con gli occhi fuori dalle orbite, il trucco rovinato dalle lacrime, il viso stravolto.
I due si fissarono per un attimo in silenzio, lei ansimando, lui una statua silenziosa con una mano sulla ferita e nell’altra la pistola.
- Cosa ti fa credere di poterci guardare tutti dall’alto in basso?! - strillò lei in fine.
Fu il turno di Mirco di sorridere, un sorriso triste:
- Il fatto che, alla fine, voi siete sempre a terra e io in piedi.
La Walther sparò due colpi con un suono soffocato. Uno alla testa, uno al cuore.
Il ragazzo infilò la pistola nei pantaloni, raccolse i due bossoli espulsi dall’arma e si curò di pulire ogni macchia del suo sangue che avrebbe potuto condurre a lui tramite DNA. Indossava guanti di pelle nera per cui non poteva aver lasciato impronte.
Uscì e scese le scale si ritrovò in strada dove infuriava il temporale. Nonostante fosse estate soffiava un vento freddo, si strinse addosso l’impermeabile nero per scaldarsi. Era felice che piovesse, chi lo avesse incrociato non avrebbe saputo dire se quelle sul suo viso fossero gocce di pioggia o lacrime.

 

L'autore del racconto 



 
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