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Una bomba silenziosa Stampa E-mail
Scritto da Marcello Micheloni   
sabato 09 settembre 2006

La bomba all'agenzia delle entrate di Sassuolo e lo strano silenzio dei media, che altre volte, invece, di chiasso ne fanno anche per cose più...piccole 


Silenziosa per modo dire. Il chilo di esplosivo che ha devastato, lo scorso 26 luglio, una parete della sede dell’Agenzia delle entrate di Sassuolo, ha svegliato mezzo quartiere.
Il silenzio che non ci si aspettava, invece, è stato quello dei media nazionali: televisioni, giornali, radio. Nulla o quasi riguardo alla bomba, nemmeno nelle “brevi”.
Eppure si è trattato dell’attacco più grave mai registrato, nella storia d’Italia, ad uno sportello dell’Agenzia delle entrate. Si è scritto della scoperta di una truffa perpetrata ai danni del fisco della portata di circa 100 milioni di euro e che un fascicolo investigativo è stato inviato alla Direzione distrettuale antimafia di Bologna. Si segue, quindi, anche una pista legata alla malavita organizzata.
Mica bruscolini.
Ma sui media nazionali, nulla. Una sorta di bomba silenziosa.
A poche decine di metri dal luogo dell’esplosione, nel febbraio scorso si compì l’arresto del marocchino Oulkadi El Idrissi: ci fu un video che in breve fece il giro del mondo e suscitò il subitaneo can can mediatico tra prime pagine dei quotidiani, telegiornali, dibattiti.
ImageChe l’arresto di El Idrissi avesse rappresentato molto di più rispetto ad una normale operazione dei Carabinieri lo intuimmo subito anche noi, pur nella nostra ingenuità: se l’arrestato fosse stato un italiano, l’enfasi data alla faccenda sarebbe stata dieci volte minore.
Ma che, ad esempio, né Corriere né Repubblica nelle loro numerose pagine dell’edizione nazionale abbiano trovato posto per un flash sull’esplosione all’agenzia delle entrate, sempre nella nostra ingenuità, ci è parso strano. Non è degna di nota una bomba potenzialmente mafiosa? E lo spazio per dedicare almeno una “breve” all’attentato, in quei giorni di fine luglio, volendo l’avrebbero avuto, ad esempio, l’Unità (che ha riempito pagine con l’emergenza idrica del Po), l’Avvenire (magari tra un articolo e l’altro sull’abusivismo edilizio delle coste) od il Giornale (togliendo un po’ di spazio alla pagina intera dedicata agli smottamenti sulla punta del Cervino).


“I media hanno sensibilità curiose e piuttosto irritanti, a volte - ci spiega Giancarlo Corsi, docente di Sociologia dell’organizzazione presso l’università di Reggio Emilia -. Purtroppo gli attentati mafiosi in Italia sono comuni, anche se è vero che non lo sono a Sassuolo. Mentre qualche scandalo legato alla violenza delle forze dell'ordine ha più audience, se così possiamo dire. Oppure, detto diversamente: i criteri in base ai quali i media decidono che una notizia è più pubblicabile di un'altra non coincidono mai con qualsivoglia idea di ragionevolezza. Non c'è da meravigliarsi. Suppongo che alla polizia sia chiara l'importanza in negativo di un atto del genere, e in fondo è questo che conta.” Il professor Corsi studia per mestiere le strane e “perverse” dinamiche della comunicazione. Per deformazione professionale (chiamiamola così) sa bene come porsi di fronte a quello che propina la stampa: “Quando voi giornalisti pubblicate qualcosa, sapete benissimo che è molto più importante la risonanza che riuscite ad ottenere che l'effettiva sostanza dell'evento riportato. Infatti non si insegna ai giornalisti a riconoscere la ‘realtà vera’, come se poi bastasse riportarla su carta, ma a costruire notizie. La realtà offre materiale grezzo, voi dovete trasformarlo in notizia. La stessa cosa - prosegue Corsi - la faccio io quando scrivo articoli o libri: se ho un'idea che mi sembra buona, sono solo al primo passo. Poi devo trasformarla in qualcosa che vada bene a riviste ed editori, e non è proprio una cosa semplice.”
Ed una volta pubblicato un articolo si apre un altro scenario di incertezza: “Non è raro, infatti, che un'idea che si reputava secondaria ottenga molti commenti, mentre invece un'altra che sembrava ottima finisca per non avere seguito.” Insomma, per farla breve: “Il giornalista sa bene che il senso di una notizia deriva dal reticolo fittissimo e inestricabile di osservatori (lettori, altri giornalisti, ecc.) che leggono e reagiscono, ma senza che il giornalista possa sapere se, come e quando. In questo reticolo si stabilizzano poi le notizie, così come i nomi dei giornalisti da tenere d'occhio o le potenzialità di scandalo. Ciò che ne esce è la realtà mediatica. Bella o brutta? Domanda insensata. Sappiamo solo che non possiamo farne a meno.”Image


Allora è proprio il sistema mediatico che funziona come funziona. 
Questo non può impedirci, però, di porci alcune domande: ad esempio, ritornando ad El Idrissi, qualcuno, per caso, a livello nazionale ha parlato a dovere dei suoi nuovi e recenti problemi giudiziari? No. E ancora di più: qualche tv pubblica o privata, oppure qualche giornale libero o di partito, ha per caso raccontato della richiesta di archiviazione della querela penale presentata contro i due Carabinieri? Nessuno. Evidentemente i tre protagonisti del fattaccio non erano più “utili” ai meccanismi della pubblica opinione. Torniamo a chiedere aiuto all’esperto: “Per molti versi, la forma dello scandalo è interessante: funziona in base ad un principio che potremmo chiamare incrementale. Si ‘spara’ la notizia e poi si aspettano le reazioni (sempre sui media, è chiaro); se ci sono si rincara la dose, aspettando le ulteriori reazioni, e così via, fino a che lo scandalo, dopo essere montato, si sgonfia. Dopo ci si lamenta della eccessiva enfasi data all'evento, oppure delle misure troppo severe adottate (si pensi al calcio, alla finanza o alla politica). Curioso è il fatto - spiega Corsi - che in questo meccanismo l'evento scatenante abbia una importanza relativa, importa solo che ci sia stato; poi tutto dipende dalla capacità della sfera pubblica di amplificare ciò che è accaduto, ma per fare questo essa deve poter neutralizzare (diciamo così) le circostanze effettive nelle quali tutto è iniziato. Naturalmente deve essere un evento adatto, e di solito si tratta di riuscire a passare sul piano della morale e dell'indignazione.”
La risposta ai nostri ingenui quesiti parrebbe proprio essere che la bomba sia rimasta silenziosa perché aveva poca notiziabilità. Sinceramente non ce l’aspettavamo. Può essere che ci fossimo solo “abituati” a Sassuolo sotto i riflettori e davamo per scontato che questi sarebbero riaccesi. O forse no: i media funzionano, nel bene e nel male, per logiche di audience e così sia. E a causa di questo, spesso se ne stanno lontano dalle reali esigenze della gente.
Teneteci d’occhio, allora, e fateci sapere senza mezzi termini quando, da queste esigenze, ci allontaniamo troppo anche noi.

Di una cosa, però, siamo sicuri: è giusto, anzi, è indispensabile continuare a chiedere alla comunità musulmana di sforzarsi il più possibile per isolare la propria parte marcia. Ma quando lo facciamo non è proprio il caso di essere arroganti, visto che la parte marcia di noi autoctoni è viva e vegeta. La bomba all’agenzia delle entrate ce lo ha solo ricordato.



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