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Le invasioni tradizionali

Scritto da Daniele Dieci

domenica 09 marzo 2008

C’è chi l’ha chiamata “invasione”, chi l’ha definita un’offesa alla sassolesità. In tanti hanno quantomeno storto il naso. Come si può infatti vedere di buon occhio un cinese dietro al bancone di Bellei? Lo si può fare eccome, se si riuscisse a capire che l’anomalia non sta nell’oggetto dello sguardo, ma nelle lenti che lo filtrano. Finchè non si cambiano le lenti, il nuovo, il diverso, il cambiamento sarà sempre visto deformato.
Alla notizia che una famiglia di cinesi aveva rilevato uno dei bar storici del centro sassolese, in molti si sono sentiti traditi. Quasi violentati. Come se avessero lasciato alla mercè di un estraneo una parte del loro corpo o, ancora peggio, un pezzo della loro anima. E giù ad insinuare cattiverie, a riportare maldicenze sui nuovi proprietari del locale. Quante volte mi è capitato di sentire “E questi da dove li hanno tirati fuori i soldi?”. Credo sia capitato anche a voi, non dico di pensarlo, ma almeno di ascoltarlo, seppure una sola volta. Poi a snocciolare piani di conquista occulti, quasi fosse un libro di Dan Brown, della famiglia cinese, intenzionata a comprare uno ad uno ogni singolo bar, da viale XX Settembre a piazza grande.
E se anche fosse? Fa davvero così senso vedere degli stranieri cercare di lavorare e di far proseguire un’attività? Pensare che non c’è in regione paese più abituato del nostro al contatto con culture ed abitudini parallele. Finché vengono qua a sgobbare in fabbrica ok, ma che non si permettano di rubarci la tradizione.

E intanto Sassuolo sta comprando mezza Cina. O ci siamo dimenticati anche questo?

(articolo d'apertura del numero 32 del Marzo 2008, consultabile nell'archivio)