Addio Banana dieci e lode, addio o Così o Pomì, addio Emanuele Pirella
Scritto da Diego Fontana   
venerdì 26 marzo 2010

Il signor Pirella non è stato precisamente il mio primo datore di lavoro. Ufficialmente sono stato assunto da Cernuto & Pizzigoni, i due creativi che dirigevano l’agenzia che aveva il suo nome scritto sulla porta, in un periodo in cui Emanuele però non era presente.
L’agenzia si chiamava Lowe Lintas Pirella Goettsche, ma tutti continuavano a chiamarla semplicemente Pirella: “Lavoro in Pirella”, “Hai visto l’ultimo annuncio della Pirella?”, “Come va in Pirella?” si sentiva dire in giro dai creativi di Milano.
Ho ricordi strani di quel primissimo periodo, legati al suo cognome. Ricordo quando il palazzo Pirelli fu colpito da quel famoso aereo, e tutti da Sassuolo mi telefonavano col cuore in gola perché confondevano “Palazzo Pirelli” con “Palazzo Pirella”. E ricordo che anche se fisicamente non era in agenzia, il suo cognome continuava ad aleggiare tra i corridoi e gli uffici. “Non avrai mica scritto un titolo senza punto?” mi disse una volta un creativo della vecchia guardia, uno che Emanuele Pirella l’aveva conosciuto davvero. Imparai così che se tutti i titoli in pubblicità si scrivono con il punto alla fine, lo si deve a lui. E quella regola, quella del cosiddetto “Punto Pirella”, continuava ad essere applicata alla lettera come un comandamento a cui non era possibile trasgredire. Una volta mi imbattei in un annuncio: il titolo recitava semplicemente 3 x 2. Ma dopo il 2 c’era il punto. E l’art director aveva dovuto centrare il titolo, con il punto e tutto, alla pagina: il risultato era un po’ ridicolo,  un po’ sbilanciato, un po’ strampalato ecco. Ma se Pirella aveva messo la regola del punto, era necessario rispettarla alla lettera.

E poi arrivò il giorno in cui dentro a quel nome e cognome si materializzò un corpo fisico: Pirella era tornato a casa. In verità la sua presenza non era poi così ingombrante: se ne stava in un ufficio nemmeno poi così grande al piano di sotto rispetto a quello di noi creativi, forse giusto per il gusto di contraddire il detto che vorrebbe i dirigenti ai piani alti.

Si faceva vedere solo raramente: quando lo riteneva necessario telefonava ai creativi e li invitava nel suo ufficio per discutere di una campagna.
Essere chiamati da Pirella era diventato una specie di status, in quel periodo. Se eri stato nel suo ufficio dicevi per i corridoi “Mi ha telefonato Emanuele”, chiamandolo per nome, giusto per far capire che tu avevi una certa confidenza con lui: per te non era semplicemente un’entità astratta a cui riferirsi per cognome.
Quando toccò a me di conoscere Emanuele, e di presentare le mie campagne direttamente a lui, ero in uno stato d’animo un po’ particolare. Stavo già meditando di cambiare aria, e sapevo che non sarei rimasto a lungo nell’agenzia che portava il suo nome. Per cui non sono andato molto in giro per i corridoi a dire “Mi ha chiamato Emanuele”. L’ultima volta che ci siamo parlati è stato quando annunciai ufficialmente che sarei andato in Saatchi & Saatchi.
Ero seduto alla sua scrivania e credo che a suo modo fu anche simpatico con me. Ma, onestamente, non ricordo una sola parola di quello che ci siamo detti.

Insomma, è andata così: ho cominciato a conoscerlo proprio quando ormai per me era ora di mettere un punto. E adesso che anche la sua parabola di vita ha raggiunto il punto finale, mi piacerebbe chiudere questo ricordo con un atto minimo di ribellione, senza metterlo, il punto; una parte di me è convinta che in fondo, un creativo come lui, questo gesto l’avrebbe apprezzato 



Commenti
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bello  - bello   |2010-03-26 16:30:07
molto bello, finale molto molto
paolo   |2010-03-29 10:32:04
Un simbolo. Oltre al punto, mi ha insegnato di non fare mai delle pubblicità con
dei gemelli: Non si capiscono. e questo è un dogma. Come il punto.
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