LA BANDA DEL BRASILIANO
Scritto da Enrico Vannucci   
venerdì 26 marzo 2010
 La banda del brasilianoLa banda del brasiliano, un film di John Snellinberg

ITA 2010

Regia di Patrizio Gioffredi

Con Carlo Monni, Luke Tahiti, Gabriele Pini, Luca Spanò, Alberto Innocenti, Luigi Milo, Massimo Blaco

 

Voto:

7,2

SINOSSI: nella più profonda provincia italiana, un bambino viene trovato morto e un impiegato comunale viene rapito da un gruppo armato noto come La banda del brasiliano. La polizia indaga ma senza successo. Cosa avranno in comune queste due vicende? Una brilalnte black-comedy girata con poco più di 2000 €, il lungometraggio d’esordio del collettivo John Snellinberg si presenta come una delle prove più interessanti viste in questa stagione cinematografica.
 
C’è un qualcosa che affascina in questo La banda del brasiliano. C’è nonostante i palesi difetti che il film, bontà sua, non tenta di nascondere. C’è perché questa black-comedy dall’inconfondibile accento pratese, girata tra i comuni della più giovane provincia toscana, è una delle tante (e purtroppo invisibili) dimostrazioni che un cinema italiano indipendente è possibile. Espressione di un artigianato, del tutto scevro dalle logiche dei soliti cinematografari tiberini, che più che indipendente, forse, sarebbe giusto definire propriamente con il termine no-budget. Costato solo duemila euro, La banda del brasiliano, realizzato dal collettivo John Snellinberg per la regia di Patrizio Gioffredi, è un’espressione chiara di quella “voglia di fare” che anima una generazione, nota ai più per l’infelice e pregiudiziale epiteto di “bamboccioni”, creduta erroneamente priva di ardori e passioni ma che, in realtà, nasconde potenzialità destinate a rimanere inespresse per colpa di una società dominata dai propri padri, del tutto restii a lasciare il potere conquistato, senza nemmeno troppa fatica, negli anni Sessanta e Settanta. La storia, una commedia nera un po’ sgangherata, porta avanti due filoni narrativi principali che, in ultimo, collimano assieme. Il primo vede protagonisti un gruppo di trentenni che rapiscono un impiegato comunale, che ha sorpassato da qualche anno la cinquantina, perché ritenuto un esponente emblematico di quella generazione che sta uccidendo i loro sogni e, per questo, meritevole di essere punito. Il secondo, invece, narra le indagini, portate avanti da un anziano commissario di polizia e dal suo più giovane collega, su un altro rapimento, quello di un bambino, che, purtroppo, è finito in modo tragico con la morte dell’ostaggio. La pellicola trasmette questa “voglia di fare” generazionale non solo attraverso il suo svolgimento ma, soprattutto, per mezzo del lavoro del collettivo John Snellinberg che, credendo nella propria opera, è riuscito a portare a termine un vero e proprio lungometraggio caratterizzato da un budget ridicolo anche ragionando secondo i canoni del già povero Cinema italiano i quali, nonostante tutto, si assestano pur sempre su cifre intorno alle centinaia di migliaia. Si pensi che un documentario come La bocca del lupo, vincitore del Torino Film Festival 2009, è costato all’incirca centomila euro nonostante le riprese in digitale e le molte sequenze di repertorio che lo compongono.
 
Il tema de La banda del brasiliano è accostabile a quello dell’ultimo film di Citto Maselli, Le ombre rosse, presentato fuori concorso a Venezia 66. Entrambe le pellicole, infatti, si focalizzano sullo scontro tra due generazioni che non si parlano ma che, inevitabilmente, entrano in conflitto tra loro. Se, però, la pellicola del “maestro” Maselli appare del tutto retorica e pretestuosa – chi scrive l’ha definita saggistica in altri articoli – quella del collettivo John Snellinberg presenta tratti intelligenti e freschi, dimostrando come sia possibile parlare di tematiche serie – appunto forse più da saggio che da opera cinematografica – secondo i canoni propri e univoci della settima arte, senza per questo annoiare lo spettatore e dunque risultare interessante sia narrativamente sia visivamente.
Come accennato all’inizio è forse su quest’ultimo punto che La banda del brasiliano appare preda della sua natura no budget: la limitatissima disponibilità economica si fa notare, purtroppo, non solo a livello scenografico – sebbene con quel poco a disposizione si siano raggiunti ottimi risultati – quanto, piuttosto, si mostra, forse più evidentemente, nella messa in scena. Determinate sequenze risentono un po’ troppo di una mancanza tecnica che risulta necessaria per una loro totale riuscita.  Questa insufficienza non è imputabile ai realizzatori ma ai mezzi che non sono a loro disposizione. Si ha la sensazione, a volte, di assistere a un “vorrei ma non posso” che, nonostante tutto, non porta mai gli autori a rinunciare a priori alla finalizzazione di ciò che hanno in mente. Capita così che molti dei richiami visivi al cinema poliziesco degli anni Settanta, a cui fanno riferimento a parole anche i protagonisti della vicenda, risultino monchi o soltanto accennati e richiedano allo spettatore uno sforzo creativo in più per completarli, utilizzando la fantasia. E’ proprio questo forte desiderio di filmare ciò che, per carenze strutturali, diviene a tutti gli effetti infilmabile a caratterizzare maggiormente la pellicola. Ciò diviene una pratica di lavoro che, al contempo, è sia causa sia effetto di quella condizione sociologica ed esistenziale – lo scontro generazionale – che i protagonisti de La banda del brasiliano sono costretti a vivere. Protagonisti che nella realtà sono pur sempre i componenti del collettivo. Si viene dunque a creare un interessante cortocircuito tra la finzione e il mondo empirico nel quale se da un lato i componenti della banda risultano in un qualche modo sconfitti dai propri padri dall’altro, proprio grazie alla realizzazione della pellicola, lo stesso gruppo, ma nella sua esistenza materiale, riesce ad affrancarsi da un mondo che lo vorrebbe inespressivo e subordinato a regole e consuetudini avverse, secondo le quali, pregiudizialmente, i giovani non possono aspirare a ricoprire gli stessi ruoli delle generazioni più anziane e, di conseguenza, che ogni buon film (soprattutto se di successo) debba essere creato secondo determinati canoni che imprescindibilmente dipendono, nel nostro paese, da una produzione pseudo-industriale localizzata a Roma e governata da una cerchia molto ristretta di persone legate tra loro da rapporti di parentela o di amicizia molto stretti. La banda del brasiliano riesce a dimostrare che un’altra via è possibile. Certamente più aspra e difficile, nonché bisognosa di maggiori sacrifici, ma non meno ricca di soddisfazioni, come dimostrano gli ottimi risultati che la distribuzione del film – che definire quasi casalinga non è un azzardo – sta avendo, soprattutto in terra toscana. Diffusione che ogni settimana sempre più si sta allargando a macchia d’olio in tutte le direzioni.
 
La banda del brasiliano, in ultima sostanza, può dunque essere considerato un tentativo, riuscito, di andare contro un sistema che non è solo quello sociale contemporaneo ma anche quello cinematografico dell’oggi e, al contempo, contro le logiche di potere che sottendono entrambi e che appaiono molto simili, se non le stesse.  A tal proposito, una semplice battuta di uno dei protagonisti racchiude tutto ciò: “Ci avete dato i soldi per il cinema e ci avete tolto i film”. Parole sante.
 
Un momento de 



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Enrico Bulleri  - Ma state scherzando vero...?   |2010-05-30 12:09:31
Ma state scherzando vero...? Nà roba come "La Banda del Brasiliano" è
semplicemente oltre le categorie di definizione del brutto, e
dell'insipienza...Nessun vorrei ma non posso, dettato dall'inadeguatezza di
budget, ma solo e soprattutto, dall'inadeguatezza estetica e finanche tecnica di
tutti coloro che sono stati coinvolti nel film (apparte ovviamente, il povero
Monni), e basta...Anche sotto l'aspetto musicale, che più degli altri era e
poteva,SOPRATTUTTO VOLEVA, essere quello maggiormente espressivo e riuscito, è
di una piattezza e mediocrità impressionante..Spiegatemi voi dove sono le
assonanze e i veri richiami alle magnifiche colonne sonore del periodo veramente
irripetibile, dei polizieschi italiani anni '70. Solo pattume sonoro da centri
sociali di riccastri finti con le pezze al culo..Ammantare una peta silenziata
come stà "Banda del Brasiliano", di venature e significati
esistenzial-sociologici, riusciti e restituiti, sulla condizione delle giovani
generazioni nelle aree provinciali e depresse, dell'Italia in disfatta di oggi,
è semplicemente ridicolo, oltre che pateticamente buonista verso il
"film" e i suoi inetti realizzatori, che più che pelosissimi e
pretestuosi "incoraggiamenti", avrebbero soltanto bisogno ma della
scurreggia lunga una telefonata dello strepitoso Buzzanca-"Il
Sindacalista"...Ma poi, il digitale, 2'000, o 20'000, o 200'000
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