GELO, di Thomas Bernhard |
Scritto da Davide Scaringi | |||
mercoledì 07 gennaio 2009 | |||
In Gelo si trova una ricerca ossessiva della verità, soggettiva e individuale quanto universale, dagli esiti mai scontati e spesso illuminanti. Un giovane studente di medicina viene mandato dall’assistente Strauch da Vienna a Weng, piccolo paese di montagna pieno di neve e vicino alla Carinzia “patria di tutti i depravati”, ad osservare la malattia del fratello pittore, ormai isolato dal mondo e fuggito dalla città, che disprezza l’arte, anche la sua, e la vita stessa. Il giovane medico, sotto le mentite spoglie di studente di legge, osserva e parla per lunghi periodi della giornata con il pittore pazzo, che soffre di una malattia che, a suo dire, dal cervello arriva al piede. La malattia del pittore è tutta somatica, mentre in realtà la sua vera malattia è ormai ben radicata nell’animo, una malattia mortale che verrà via via illustrata nel corso delle pagine, tra affermazioni agghiaccianti e brutali e momenti di lucidità spaventosa e ineluttabile, una vera e propria poesia del pensiero, anche se a volte risibile per le sue intemperanze titaniche e finali. Già in questo preludio si può cogliere la finzione dell’intero libro, corredata dall’umanità che vive a Weng, dalla moglie dell’oste incarcerato al suo amante lo scuoiatore che fa anche il becchino, dall’ingegnere della centrale elettrica in costruzione agli avventori della locanda gelida e fuori mano. Fulcro di tutta la scena è la stessa locanda che la moglie dell’oste conduce con l’aiuto dell’amante in attesa che il marito ubriacone sconti la sua pena. Vi è un mondo vivo e vivido che ruota intorno a questo piccolo paese di montagna, e le chiacchierate tra il giovane studente e il pittore Strauch, tra un illuminante Pascal e un descrittivo Henry James, si addentrano sempre più negli abissi dei significati, in un mondo senza fondamenta dipinto dal sempre più isolato e perduto pittore, in eterno conflitto con tutto il circostante e sempre più consapevole della propria miseria e rovina. Il giovane studente, partito per osservare la malattia del pittore per sole due settimane, ne rimane travolto e affascinato, anche se da esso svuotato e avvinto, e decide di prolungare il suo soggiorno. I suoi resoconti arrivano fino al ventisettesimo giorno, quando il finale improvviso rispecchia tutti i brividi che percorrono il corpo nel leggere queste pagine sontuose, come del resto il titolo ricorda. Gelo. Aforismi: “Qui lei può fare un mucchio di osservazioni che si trasformano tutte in gelo, in antipatia verso se stessi.” “«L’aria è l’unica vera coscienza, capisce?» Io risposi: «No, non La capisco». «L’aria, dico io, è l’unico vero sapere!» ripetè lui. Continuavo a non capire, ma annuii. Lui disse: «I gesti dell’aria, capisce, i grandi gesti dell’aria. Il gran sudore dei sogni angosciosi, ecco che cos’è l’aria».” “Non so, è tutto assurdo! Assurdo ciò che ora sto scrivendo, poiché io scrivo nel cuore della notte, nella «sconfinata ignoranza delle tenebre».” |