Mi sento un coglione e non riesco più a cantare le canzoni di Vasco Rossi. Mica perché mi sia andata via la voce o perché tema le sassate dei vicini di casa spazientiti dalle mie stonature. No, no, magari fosse per questo. Ed il motivo non è da ricercare nemmeno nella qualità delle ultime creazioni del buon Blasco, opere quasi certamente non all’altezza di quel repertorio che l’ha collocato tra le nostre abitudini.
Il noto rocker di Zocca, Vasco Rossi
Sì, perché Vasco è un’abitudine, qualcosa che c’è e che, piaccia o non piaccia, diamo per scontato come mangiare, dormire, guidare. Guidare. Guidare l’auto e cantare le canzoni di Vasco mentre parti, acceleri e arrivi. Un’abitudine. Un’abitudine di molti, che ti rendi conto benissimo non essere una tua esclusiva. Ma il fatto è che mentre canti una canzone che ti piace scatta una relazione tra te e lei di cui puoi essere gelosissimo. Specie quando siete soli, “appartati”in macchina. Da qualche settimana c’è uno spot che mi sbatte in faccia un mondo in cui tutti cantano Vasco: bambini, signore, tambani… Tutti, mentre guidano, cantano Vasco. Anche la pubblicità è un’abitudine, anch’essa, piaccia o non piaccia, è oramai come mangiare, dormire, guidare. E ci rendiamo conto benissimo che, piaccia o non piaccia, influenza le nostre scelte. Ma la buona pubblicità deve essere ruffiana, leccarti per bene, lasciarti credere che sei furbo e che tu nel suo tranello non ci caschi; una buona pubblicità deve raggirarti, deve farti sentire unico. Mica uno dei tanti. Mica uno che canta Siamo solo noi e scopre che siamo invece tutti. Per questo mi sento un coglione a cantare le canzoni di Vasco: a causa di una pubblicità che tocca le corde sbagliate. Fortunatamente, non per i vicini di casa o di semaforo, presto tutto questo finirà: sarà sufficiente una pubblicità che sappia fregarmi. Ma nel frattempo mentre parto, accelero e arrivo, sto zitto. E va bene così, senza parole. Punto.