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Galimberti: "I giovani stanno male. Ma non lo sanno" Stampa E-mail
Scritto da Laura Corallo   
domenica 07 marzo 2010

Umberto Galimberti al Teatro Carani di Sassuolo
Umberto Galimberti al Teatro Carani di Sassuolo
Stanno male ma non lo sanno. Vivono nell’assoluto presente per dimenticare un futuro che non c’è.  E’ il profilo dei giovani contemporanei tracciato da Umberto Galimberti, filosofo e psicanalista, nel libro L’Ospite Inquietante. Il Nichilismo e i giovani (Feltrinelli).  Prendendo spunto da Nietzche e Heidegger, Galimberti  parla di Nichilismo  cioè il crollo dei valori che caratterizza l’esistenza dei giovani d’oggi; giovani sempre più insicuri e incapaci di aggrapparsi ai valori che avevano rischiarato la strada ai loro padri.

Il filosofo ce ne parla in questa intervista raccolta al Teatro Carani lo scorso 27 febbraio, tracciando anche una via di uscita ad una delle contraddizioni del nostro tempo.

Professor Galimberti, il protagonista del suo ultimo libro “L’ospite inquietante” è il Nichilismo. Ce ne può parlare?
Nichilismo significa crollo dei valori. Indica, soprattutto tra i giovani, la mancanza di uno scopo, l’assenza di motivazioni che guidano l’agire. Che i valori si svalutino è meno preoccupante dal punto di vista della specie perché la storia va avanti comunque, con la trasmutazione dei valori. In tutte le epoche storiche alcuni valori sono tramontati, altri sono risorti. Per esempio prima della Rivoluzione Francese la nostra società era gerarchica. Dopo la Rivoluzione Francese sono nati nuovi valori improntati sulla Libertà, Fraternità e Uguaglianza. Invece il Nichilismo presuppone che non sorgano nuovi valori perché il futuro retroagisce come motivazione e il soggetto non vede lo scopo da raggiungere. Questo è un aspetto preoccupante. La nostra società ha perso di vista i valori intesi come fattori di coesione sociale. Oggi viviamo in una sorta di solitudine di massa.
I giovani si rendono conto di questo malessere? E come vivono la loro condizione?
I giovani stanno male ma non lo sanno. Forse se ne rendono conto la famiglia e la scuola ma non hanno gli strumenti per affrontare questa nuova configurazione psicologica dei giovani. Il malessere dei ragazzi trae origine non tanto da motivi esistenziali o psicologici, che pure ci sono, ma per motivi culturali. La dimensione del Nichilismo nella nostra società era già stata annunciata dal filosofo tedesco Friedrich Nietzsche che ha definito il Nichilismo con la frase: manca il fine; manca la risposta al "perché?". Anche il filosofo Martin Heidegger diceva che il nichilismo bisogna conoscerlo e guardarlo bene in faccia.
Quindi la percezione della nuova generazione è di vivere in assenza di un futuro…
Vede, quando io ero giovane il futuro era una promessa. Quelli della mia generazione sapevano, per
esempio, che una volta terminati gli studi, si sarebbero aperte le porte del mondo del lavoro che garantiva la realizzazione professionale ed esistenziale. Per le ultime generazioni, invece, non è così.
Tanti studenti sanno che dopo la laurea c’è lo spettro della disoccupazione e del precariato. L’interrogativo diffuso è questo: perché devo studiare e impegnarmi? Faccio un esempio: all’Università di Venezia, dove insegno, uno studente mi ha chiesto di fare un dottorato di ricerca di filosofia. Io ho cercato di dissuaderlo facendogli capire che sarebbero stati tre anni persi. La sua risposta è stata: lo so ma per tre anni sto bene.
E’ stata una risposta da ragazzo disperato. In questo modo questo studente ha preferito raccogliersi
nell’assoluto presente, che gli dà una identità temporanea, allontanando da sé lo spettro di un futuro che percepisce angosciante. E’ anche questo il motivo che porta tanti giovani ricercatori universitari a “fuggire” dall’Italia per andare a studiare nelle università straniere. Così l’Italia paga i frutti che poi altri raccoglieranno. Rimanendo nel Nord Est, tante aziende chiuderanno perché i giovani non vogliono portare avanti le attività fondate dai padri. E’ un discorso complesso che comunque travalica i confini italiani.
La società come affronta questo problema?
La società ha a disposizione la massima forza biologica, ideativa e sessuale delle nuove generazioni ma se ne disinteressa. Non si prende cura ci ciò che nasce e cresce. Dai 15 ai 30 anni i giovani sperimentano la massima forza biologica. Sono belli e forti. Ma chi usa la bellezza? Forse gli operatori di mercato che li conoscono meglio degli insegnanti e dei loro genitori. I ragazzi sperimentano inoltre la massima forza sessuale ma che non può essere procreativa perché l’età del primo concepimento si è elevata ai 30 – 35 anni. Infine viene sciupata anche la massima forza ideativa cioè la capacità di sviluppare la propria creatività.
Lei denuncia un alto tasso di analfabetismo emotivo tra i giovani.
Uno dei grossi problemi è l’analfabetismo emotivo. I giovani sono in grado di provare pulsioni e passioni ma non conoscono i sentimenti. Provano le sensazioni senza saperle nominare e quindi non riescono a gestirle. I sentimenti si imparano. E il luogo deputato all’apprendimento delle emozioni è la letteratura. Lì si impara il linguaggio dell’amore, dell’angoscia, della noia e del dolore. Quando non si conosce il linguaggio emotivo, il dialogo è sostituito dal gesto. Nel mondo primitivo i conflitti venivano affrontati con i gesti e non con le parole. Se i ragazzi non conoscono più né i sentimenti né le parole allora il gesto finisce con l’essere l’unico elemento aggregante. Da qui possono originarsi comportamenti aggressivi fino al bullismo ed allo stupro.
A ciò si aggiunge che il tasso depressivo che caratterizza i giovani è alto e tanti vi pongono rimedio vivendo di notte e non di giorno, preferendo l’obnubilamento del pensiero alla lucidità mentale. Anche l’utilizzo di sostanze stupefacenti è una strada per sperimentare l’esperienza del “morire”. La droga anestetizza da una vita che si percepisce come insopportabile e che toglie dal mondo sociale e reale. Il pensiero è questo: se la società non mi convoca e non mi riconosce, perché devo stare al mondo?
La famiglia spesso è assente nell’educazione. Quanto i genitori sono responsabili dell’afasia emotiva dei loro figli?
La famiglia spesso non si occupa di trasmettere un linguaggio emotivo ai propri figli. Occorre fare attenzione ai primi tre anni di vita del bambino, periodo in cui i costruiscono le mappe cognitive affettive, cioè le modalità con cui conosciamo e partecipiamo emotivamente al mondo. Per questo i genitori devono avere cura dei figli assicurando loro non solo amore ma soprattutto una maggiore attenzione alle manifestazioni verbali e non verbali. Ad esempio è molto importante osservare i disegni perché in essi i bambini esprimono il loro modo di vedere il mondo. L’identità del bambino si costruisce attraverso il riconoscimento e valorizzazione del proprio essere.
Negli ultimi anni hanno preso piede le nuove tecnologie: internet, blog e i network come Facebook. Come interpreta questa esigenza di comunicare e raccontarsi?
La comunità virtuale è comoda e facile. In una chat o in un social network posso dire ciò che voglio. Non ho un contatto corpo a corpo con l’altro. L’altro davanti a me non è impegnativo, perché manca il corpo e lo sguardo dell’altro. Il suo guardare impegna le parole. In un rapporto virtuale si è protetti da una corazza di solitudine. Ma se viene meno il contatto con il corpo allora viene meno l’uomo sociale.
Cosa può fare un giovane per uscire da questa condizione e diventare un essere autonomo e realizzato?
Credo che una delle strade più interessanti da seguire sia l’esortazione degli antichi greci “Conosci te stesso”. Occorre incuriosire i giovani sulle loro virtù ovvero le capacità e abilità personali. I ragazzi devono innamorarsi di se stessi è imparare la grande meta dell’esistenza umana cioè l’arte del vivere.

 


Nato a Monza nel 1942, Umberto Galimberti è, dal 1999  professore ordinario all'università Ca' Foscari di Venezia, titolare della cattedra di Filosofia della Storia. Si occupa di psicanalisi junghiana, e ha passato tre anni in manicomio per osservare direttamente le psicosi. Attualmente collabora con settimanale D, allegato delquotidiano La Repubblica dove  tiene una rubrica di risposta ai lettori.


Commenti
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Giuseppe  - 100%   |2010-03-07 08:13:03
D'acordo al 100%. Ma va bene anche così.
Anonimo   |2010-03-07 08:21:46
bellissima intervista.
Gio   |2010-03-07 10:01:07
Complimenti, bella intervista e tema veramente interessante.
Mi trovo in
disaccordo solo su un punto, rispetto a questa problematica ritengo che ci sia
più consapevolezza di quanto si creda, forse rivolgersi al presente è più facile
che guardare al futuro.
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