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Con le macerie di Piazzale Roverella, eretta la vergogna di Piastrelle Stampa E-mail
Scritto da Marco Mazzacani   
lunedì 20 marzo 2006

Io credo nella buona fede dei nostri amministratori. Ma credo anche che in un momento di riscoperta e di valorizzazione del tessuto urbano (vedi l’abbattimento del palazzo in piazzale Roverella) si debbano porre vincoli  per la realizzazione di un’architettura capace di esprimere pienamente una sensibilità moderna, capace di segnare il nostro presente. Il monumento col A questo proposito riporto un episodio. Qualche anno fa, all’allora sindaco di Modena Giuliano Barbolini toccò il compito di comunicare a un famoso architetto americano la bocciatura, da parte del comitato per i Beni ambientali e architettonici, del progetto per una porta, Porta Sant’Agostino, da inserire nel tessuto storico della città, nell’antica piazza dei Musei. La motivazone che portò Marisa Bonfatti Paini, presidente della commissione, al rifiuto dell’opera di Frank O. Gehry (l’architetto del Guggenheim di Bilbao, per intenderci) fu l’apparente inconciliabilità tra la “dirompente diversità” dell’architettura contemporanea e il contesto storico-artistico nel quale andava ad inserirsi. Una scelta coraggiosa ma legittima, che sembrava però non tenere affatto conto dei tanti successi ottenuti dall’innesto dell’architettura contemporanea nel tessuto storico di importanti città europee: il Beabourg di Piano a Parigi, la piramide di cristallo di Pei davanti al Louvre, lo stesso Guggenheim di Gehry a Bilbao, o i ponti di Calatrava a Valencia. Episodi che hanno dato nuova linfa al tessuto urbano e creato ,perché no, indotti economici dovuti al turismo culturale.

E se il paragone può sembrare ardito mi interrogo sulla distanza di giudizio assunto nelle due città, perché se a Modena fece clamore il rifiuto di un’opera di sicuro richiamo internazionale come quella di Gehry, a Sassuolo ci si permette di erigere nella piazza principale una costruzione dalla indecifrabile identità, non un’aiuola, non una panchina, certamente non un arredo urbano, ma un pugno nell’occhio per chiunque si aspetti dai nostri amministratori interventi, se non di richiamo artistico, almeno rispettoso di un senso estetico collettivo. Si continui dunque nella direzione intrapresa, con un passo indietro, con un gesto di coraggio, e si elimini quella vergogna da Piazza Grande.

Amichevolmente.



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