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BRüNO di Larry Charles Stampa E-mail
Scritto da Enrico Vannucci   
martedì 27 ottobre 2009
 BRüNO di Larry Charles

 

Brüno, di Larry Charles

USA 2009

Sacha Baron Coen, Gustaf Hammarsten

 

Voto:

5,6

Sceneggiatura: Sacha Baron Coen, Anthony Hines, Dan Mazer, Jeff Schaffer, Peter Baynham

BREVE SINOSSI: Sacha Baron Coen, dopo Ali G e Borat, porta sullo schermo un altro dei suoi personaggi divenuti famosi nel suo show comico sulle reti britanniche. Brüno è un giornalista austriaco di moda omosessuale che più di ogni altra cosa nella vita desidera sfondare nel mondo dello spettacolo. Tra gag irriverenti e alquanto volgari questa è la sua (finta) storia. Consigliato ai fan del comico inglese e a tutti coloro che ricercano un divertimento scanzonato.

Brüno è fratello di Borat. Il fratello gemello. Non solo perché, come sostiene il manifesto pubblicitario italiano, si tratta del suo “lato B” o perché i creatori e l’attore-sceneggiatore che lo interpreta, il noto comico britannico Sacha Baron Coen, sono gli stessi ma proprio perché, in fin dei conti, si tratta dello stesso, identico, film. Brüno è forse solo più irriverente del precedente. Ci sarebbe anzi da chiedersi se questa operazione commerciale, sicuramente ben riuscita, debba essere considerata un’opera cinematografica o, piuttosto, un format più adatto al piccolo schermo. Nel primo caso ci troveremmo di fronte a una pellicola che dovremmo definire usando il termine mockumentary, ovvero, un film documentario che, invece di proporre allo spettatore una storia realmente accaduta, narra una vicenda di finzione, scritta e interpretata da attori che recitano una parte. Eppure si fa fatica ad attribuire a Brüno una tale descrizione. Brüno, il protagonista, è, infatti, un personaggio televisivo a tutti gli effetti: non solo perché è egli stesso il conduttore di un programma di moda per la tv austriaca ma anche, in particolar modo, perché il carattere vede la propria genesi sul piccolo schermo, nello show che Baron Coen ha condotto sulle reti britanniche e nel quale, oltre a questo strambo giornalista gay, hanno visto la luce gli altri personaggi che hanno già avuto l’onore di diventare protagonisti di un lungometraggio che porta il loro nome, Ali G e, il più conosciuto, per il pubblico italiano, Borat. La connotazione televisiva è dunque innata nel personaggio ma questa è ancor più evidente durante gli ottanta minuti della pellicola: infatti, le unità minime che costituiscono la colonna portante dell’opera non sono altro che delle candid camera. E cosa c’è di più televisivo se non proprio una candid camera? Gli esempi sono innumerevoli, in ogni paese occidentale, qui in Italia, per esempio, hanno fatto scuola quelle realizzate da Nanni Loy per la Rai negli anni Sessanta. Se la candid è dunque una peculiarità squisitamente del piccolo schermo, non può sfuggire come la costruzione delle riprese e la messa in scena di Brüno ricordino da vicino più che un documentario d’inchiesta classico – per intenderci alla Michael Moore – un qualsiasi reality show, o presunto tale, prodotto da un network giovanilista come MTV. In entrambi i casi la macchina da presa segue il/i protagonista/i ma il suo posizionasi e la sua esplorazione dello spazio di ripresa sono alquanto differenti. Se in Moore – preso ad esempio solo come caso più noto ai più – vi è sempre una giusta distanza tra la macchina da presa e il soggetto ripreso e quindi viene a costruirsi un distacco tra lo spettatore e l’oggetto del suo sguardo, nell’operazione economica di Baron Coen, così come nella maggior parte dei reality show, la telecamera (il termine è qui quanto mai giusto) non indietreggia un attimo dal proprio soggetto, ma, al contrario, gli rimane addosso, cercando di cogliere ogni minimo movimento, anche il più inutile, fisico e/o emozionale nel tentativo di ridare un senso di vissuto reale che, inevitabilmente, il media televisivo – ma anche quello audiovisivo in generale – per sua natura, sottrae alla visione umana. Si pensi a tale proposito a reality show come The Osbournes, The Simple Life con la reginetta del gossip Paris Hilton, The Hills, oppure, l’antesignano di tutti quanti, The Real World. Non stupisce che un mimo comune denominatore risulti essere la casa di produzione/distribuzione, MTV. Lo stesso canale che ha dato i natali anche a un altro grande esperimento televisivo che fu Jackass, format che alcune scene della pellicola richiamano da vicino, prima tra tutte quella della dominatrice che prende a frustrate il nostro malcapitato protagonista. Una sequenza quest’ultima che, a differenza del vero incontro tra scambisti nel quale Baron Coen si ritrova, è palesemente costruita, nonostante le cinghiate risultino assai vere, proprio nel medesimo stile della fortunata serie ideata da Johnny Knoxville, Jeff Tramaine e l’apprezzato regista Spike Jonze.

Brüno, dunque, risulta essere assai più televisivo che cinematografico e ciò non sorprende affatto se si considera anche quanto detto all’inizio a proposito della sua fratellanza quasi naturale con BoratAli G Indahouse, del 2002. Questi lungometraggi, assieme, formano un trittico gemellare. Ciò che maggiormente le accomuna è la volontà, marcata, di prendere in giro coloro che cadono vittime delle gag del comico protagonista. Questa messa in ridicolo è senza dubbio legata al desiderio di smascherare, in maniera particolare, quelle ipocrisie che si nascondono dietro determinati modi di pensare. Qui, ovviamente, il dito è puntato principalmente contro una parte della società che discrimina la comunità omosessuale ma non solo, Baron Coen ne ha, in effetti, per molti: dai finti benefattori e supporter di cause umanitarie per tornaconto personale, alle stupide star della (sotto)televisione americana o le alquanto prive di ingegno bellezze del ricco universo della moda. Più che a un film, di nuovo, ci troviamo di fronte a un esperimento sociologico. Gli autori – qui è difficile parlare de “il regista”, nonostante la messa in scena sia accreditata a Larry Charles, Brüno è a tutti gli effetti un’operazione commerciale realizzata interamente da un equipe – ci vogliono mostrare il mondo così com’è in realtà, depurato di quelle maschere che vengono indossate in determinate situazioni per seguire quelle regole non scritte di comportamento che ci fanno parlare di politically correct, cosa che Baron Coen e soci non sono assolutamente. Da sempre la comicità è stata utilizzata per mettere alla berlina i potenti e per rivelare le dinamiche sotterranee che si nascondono dietro una facciata immacolata. La ricerca comica del gruppo di autori che ruota intorno a Baron Coen si spinge, sin dagli esordi, fino all’estremo della cattiveria e del cattivo gusto, come nella sequenza del focus group chiamato a recensire lo show del protagonista, spettacolo che si conclude con un pene che balla e annuncia il nome del conduttore. Se Scary Movie 2 viene ricordato come il film dove appaiono più attributi maschili sullo schermo, Brüno non è da meno, anzi, con tutta probabilità si spinge a volgarità ben peggiori. Volgarità che immediatamente fanno rimanere basito chi guarda ma, è innegabile, arrivano a provocare più di un sorriso proprio a causa della loro esagerata stupidità e, soprattutto, per colpa delle dissacranti e inaspettate reazioni delle vittime degli scherzi. 

Per tutto questo, e altro, la pellicola è vietata ai minori di quattordici anni. Piacerà sicuramente allo spettatore che ha amato Borat (e Ali G Indahouse) e anche a quello più scanzonato, propenso, per divertimento, ad accettare anche volgarità che non fanno niente per non apparire gratuite. Probabilmente spendere il prezzo intero del biglietto appare eccessivo per un opera che può benissimo essere vista su uno schermo più piccolo, televisivo, e quindi il pubblico potrebbe anche aspettare la sua messa in onda in un media diverso dal  cinema, con il quale ha, in effetti, poco a che spartire.



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