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Giorgio Casoni: “Da propagandista ai contatti con gli artisti” Stampa E-mail
Scritto da Catia Bartoli   
sabato 25 luglio 2009

Questo mese è il turno delle “avventure ceramiche” di Giorgio Casoni, altra memoria storica del nostro distretto. Altro scrigno di ricordi ed esperienza, “dalla monocottura al budget”, passando per gli artisti…

Ricorda Giorgio Casoni, a sinistra in questa foto degli anni '70: “Lavorai con Caruso - a dx - , l’artista delle forme (a destra nella foto, ndr) e con lui girai tutta l’Italia organizzando mostre itineranti dove venivano presentate le sue forme. Facemmo delle biennali con i più grossi artisti della ceramica. Entrai dalla porta principale nel mondo dell’arte. Passavo molto tempo nel suo laboratorio di Roma.”
Ricorda Giorgio Casoni, a sinistra in questa foto degli anni '70: “Lavorai con Caruso - a dx - , l’artista delle forme (a destra nella foto, ndr) e con lui girai tutta l’Italia organizzando mostre itineranti dove venivano presentate le sue forme. Facemmo delle biennali con i più grossi artisti della ceramica. Entrai dalla porta principale nel mondo dell’arte. Passavo molto tempo nel suo laboratorio di Roma.”

“SONO NATO NEL 1943. Mio padre era carabiniere a Serramazzoni, una volta in pensione ci siamo trasferiti a Sassuolo, io avevo 14 anni. Dopo gli studi al Liceo Artistico, sono stato assunto alla Marazzi tramite Don Ercole, nel 1963. Allora era tutto diverso, si entrava sempre tramite qualcuno ed ara noto che il Dr. Marazzi avesse una certa idea politica e volesse gente calma, dedita al lavoro e senza troppi grilli per la testa. Fui assunto come addetto a uno dei laboratori ma la mia aspirazione era quella di entrare in ufficio vendite, considerato un po’ il punto di arrivo professionale per chi lavorava lì dentro. Dava la possibilità di non restare dietro ad una scrivania e di incontrare ogni giorno gente nuova. La Marazzi poi aveva un bacino di clienti enorme. In laboratorio analizzavamo le materie prime per valutarne la stabilità, perché allora non esistevano gli atomizzatori. Ho vissuto il periodo importantissimo della trasformazione del prodotto in monocottura, fondamentale per tutto ciò che è avvenuto dopo. In fiera a Bologna chi aveva la monocottura era in cima alla piramide, tutti la cercavano e ne volevano sentire parlare. Tramite quel sistema la Marazzi iniziò anche il progetto delle forme, gli elementi decorativi che allora furono molto in voga. Il bancone della portineria della Marazzi è tutt’ora decorato con una delle “forme” più famose, la canna d’organo dell’artista romano Caruso.”

“NEL 1968 VENNI A SAPERE che stavano assumendo dei ragazzi  per l’ufficio vendite e mi avvisarono che era il momento di parlare con il Dr. Grignani, l’allora direttore vendite. Mi dissero però che forse non ero adatto, c’era in giro la storia che avessi un brutto carattere. Grignani invece mi guardò e mi disse: «Vuoi fare il venditore? Benissimo, da domani si comincia.». Mi fece stare in azienda un mesetto per studiare tutte le piastrelle e il catalogo che lui stesso aveva creato. Alfeo Grignani fece tantissimo per la Marazzi, gli diede un’impronta moderna. Era una persona molto disponibile, ma diretta, una gran brava persona. Sono molto legato a quell’uomo. Iniziai come propagandista, una figura che esisteva solo in Marazzi. Eravamo 5 o 6, era il passaggio precedente a quello di agente. Avevamo il compito di monitorare i territori e contattare le imprese ed i rivenditori, ma in particolare i professionisti come gli architetti, gli ingegneri, i geometri. Si sceglieva una località, si apriva la mappa della città o della zona e da lì si partiva, telefonando dall’albergo, prendendo appuntamento e andandoli a trovare. Grignani ci insegnò che il modo migliore per interessare questi professionisti era quello di farli parlare e non di parlare. E aveva ragione. Normalmente i colloqui iniziavano così: «Ah lei è della Marazzi!». Oggi non te lo direbbero mai, hanno l’aria scocciata di quelli che vengono sistematicamente visitati. Poi cominciavano a chiedere un sacco di notizie riguardo a Sassuolo. C’era un grande interesse nei confronti della piastrella, un elemento ancora da conoscere, da valutare bene. Avevamo un know-how importantissimo rispetto agli altri. Le uniche ceramiche che ci facevano concorrenza erano quelle che mettevano a disposizione dei rivenditori le squadre di posa: trasformavano le sale mostra in veri e propri show room, arredandoli e progettandoli come spazi esclusivi di vendita per la ditta che ne finanziava l’allestimento. Come faceva la Gardenia per esempio, o la ceramica Abetone. Erano agguerritissimi. Ma la Marazzi era irraggiungibile. Eravamo un gruppo di giovani estremamente incentivati e ci consideravamo dei privilegiati. I clienti tenevano moltissimo al nostro marchio. Molti lo cercavano, non tutti potevano averlo. Ho visto persone pregarci di poter diventare nostri clienti. Ne ricordo uno in particolare che si mise a piangere perché l’azienda lo prendeva in considerazione però secondo lui non nel modo giusto. Il senso di appartenenza se lavoravi per la Marazzi era enorme, ci sentivamo i padroni del mondo. Fu un periodo bellissimo, il pionierato della ceramica.”

“NEL 1971 GRIGNANI MI PROPOSE di diventare agente per la zona di Pescara, che non mi piaceva. Allora gli agenti erano obbligati a trasferirsi nella zona che gli veniva assegnata. Ricordo che Grignani, guardando verso la finestra che dava su via Regina Pacis mi disse: «Scommetti che se al primo che passa per la strada qui davanti faccio la stessa proposta lui non mi dice di no?». Io rifiutai comunque. Dopo pochi giorni passai alla Marazzi Due, dissero che mi vedevano bene in quel ruolo per via della mia vena artistica. La Marazzi Due nacque da un’idea di Guazzi. In quel momento nell’Italia del Nord e nel Nord Europa andava forte l’idea della moquette e si pensò di abbinarla alla piastrelle. L’azienda si mise in contatto con importanti produttori di moquette di Milano e vennero create vere e proprie collezioni di prodotti diversi, come gli elementi modulari, che anche facevano parte del progetto. Fu un periodo meraviglioso, che mi permise di entrare in contatto con ambienti stupendi, atelier di artisti, mostre d’arte. Un’esperienza bellissima. Lavorai con Caruso, l’artista delle forme, e con lui girai tutta l’Italia organizzando mostre itineranti dove venivano presentate le sue forme. Facemmo delle biennali con i più grossi artisti della ceramica. Entrai dalla porta principale nel mondo dell’arte. Passavo molto tempo nel suo laboratorio di Roma. Il discorso proseguì per un certo periodo poi l’azienda, forse presa da problemi più importanti, non credette  più nel progetto, e le forme Marazzi fecero il suo tempo. Erano costose, un prodotto difficile.”

Opere di Nino Caruso
Opere di Nino Caruso


“TUTTO GIRAVA INTORNO al Dr. Pietro Marazzi. Lo sentivo spesso urlare, perché lavoravo nella palazzina e la direzione era sotto di me. Si diceva che la gente si chiudesse negli uffici dalla paura. Ricordo quando i due figli del Dr. Pietro entrarono in azienda. Piergiorgio come amministratore delegato, Filippo come direttore generale. Noi fino ad allora li avevamo visti correre con i go-kart intorno ai capannoni. Quel giorno, era il 1975, le maestranze furono raccolte attorno al tavolo della presidenza. Filippo prese la parola, ricordo chiaramente questa frase: «Ragazzi da questo momento è finito il periodo della pacca sulla spalla e del paternalismo, da adesso si comincia a ragionare in modo diverso», e fu così.”

“SONO USCITO DALL’AZIENDA NEL 1976, ho fatto un’esperienza per conto mio poi, nel 1983 sono entrato alla Ragno, che nel 1987 divenne Marazzi. Alla Ragno vissi la grande crisi della ceramica dei primi anni ’80. Contribuimmo a far diventare la Ragno una grande azienda. Dopo la ristrutturazione divenne molto importante anche per la produzione della monoporosa, che fece per prima. Alla Ragno riuscii a seguire le zone che mi piacevano. A marzo di quest’anno sono andato in pensione e mi sono rimesso a disegnare, a dipingere gli acquerelli. Ora le cose, nel mondo della rappresentanza ceramica, sono cambiate tantissimo. E’ cambiato il modo di concepire la collaborazione, più freddo, determinato, stressante. Sono cambiati i metodi. Tutto è gestito dai numeri, tutto è in tempo reale. Tutto è cambiato quando qualcuno si è inventato “il budget”. Si sono create situazioni di disagio perché sai che sarà difficile raggiungerlo, “il budget”. E non sei più riconosciuto come professionista. Questo si ripercuote sui clienti che si sentono usati. Negli ultimi tempi, come agente, mi sentivo un panda, in via di estinzione. E poi c’è la crisi, una cosa terribile, che nessuno di noi ha mai visto.”



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