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Sergio Togni: “Con Marazzi mi salvarono i fiori…” Stampa E-mail
Scritto da Catia Bartoli   
martedì 30 giugno 2009
Altra immersione nelle tradizioni e nei ricordi del lavoro del Distretto. Questa volta è il turno di Sergio Togni: “Quando Marazzi mi chiese cosa sapevo fare, gli feci vedere i miei quadri… Per fortuna che ce n’era uno adatto”.
Aneddoti e passioni di una vita intensa
...

Sergio Togni, uno dei primi grandi decoratori della nostra ceramica
Sergio Togni
“SONO NATO A SAN MICHELE NEL 1933. Mio fratello, volontario in Marina, morì durante la Seconda Guerra Mondiale e mio padre lo seguì dopo solo tre mesi, morendo a sua volta per il dispiacere. Rimasti soli fui mandato da mia madre in collegio, dai frati dell’Antoniano di Bologna, all’Osservanza. Lei doveva guadagnarsi la pagnotta e preferì non lasciarmi solo a casa, per evitare che diventassi un ‘birichino’. Arrivai a Bologna a 14 anni, mi diplomai al Liceo Classico e me ne andai che ne avevo 23. Non avevo la vocazione e non mi piaceva la vita di collegio ma ebbi la fortuna di incontrare un professore che capì la mia inclinazione per l’arte, affidandomi un ‘pitturotto’ per il giornalino del collegio. Fu una fatica immane. Venne male ma lui disse: «Bene, continua». Fu la scintilla che provocò l’incendio. Quando tornai a Modena cominciai a frequentare le botteghe d’arte, che ora non ci sono più. Entrai in quella di Augusto Davaglio, restauratore della Pinacoteca Estense. A volte mi insegnava, a volte, quando aveva il nervoso, mi cacciava via con infamia, ma io avevo costanza. Il disegno, il ritratto e la figura in genere li imparai alla bottega di padre Angelico Bertini. Era uno che aveva dei numeri. Mi diceva: «Tu devi disegnare senza la gomma. Devi disegnare quello che hai davanti ma se sbagli non devi cancellare perché se lo fai non ti ricordi più dove hai sbagliato e ripeti l’errore. Metti il foglio da parte e prendine un altro». Io pensavo fosse matto invece aveva ragione. Imparai tantissimo anche da Alessio Quartieri, l’autore del monumento tra l’Accademia delle Belle Arti e l’Accademia Militare di Modena. Era un genio, ma modesto. Mi ha insegnato cose importantissime che poi mi sono servite in ceramica. Mi ha insegnato come si adopera la terra. L’argilla infatti non va utilizzata così com’è perché è grassa, va dimagrita con il biscotto macinato e altri componenti, per far sì che non crepi quando cuoce.”

“QUANDO ENTRAI ALLA MARAZZI, nel 1962, c’era gente che faceva tutto il contrario. Faceva sculture con la terra grassa senza farla essiccare lentamente prima ma buttandola direttamente dentro l’essiccatoio. Così la scultura si seccava fuori ma restava bagnata e dunque più larga dentro. E crepava. Entrare alla Marazzi, che allora era l’azienda più importante di Sassuolo, era una cosa che desideravo molto ma non andai subito lì. Prima sono stato qualche anno a Villa Gardini a Casinalbo, dove c’erano i minorati psichici, a fare l’istitutore. Prendevo 25.000 lire al mese. Per entrare alla Marazzi mi dissero che dovevo passare da Ugolini. Dopo tre mesi di attesa fui spedito direttamente dal Dr. Marazzi. Lo incontrai che stava scendendo dalla sua Citroën verde: «Cosa sai fare?», mi chiese. «Di ceramica non so niente, non l’ho mai fatto, però ho sempre scarabocchiato», gli risposi. Lo portai a fargli vedere due o tre quadri: «Questo è brutto veh, questo non c’è male ma… questo è bello!». Era un quadro con dei fiori. E’ stato la mia salvezza. Gli ho dimostrato che ci sapevo fare almeno con i decori. Cominciai a lavorare come operaio manuale. Facevamo le prove, le portavamo al forno e se andavano a buon fine venivano utilizzate. Fu il professor Venerio Martini che mi spiegò come fare, mi diceva di non essere lento nel decoro a mano altrimenti lo smalto si seccava e restava attaccato al pennello, mi diceva di andare ‘sveltino’. Il Prof. Martini, che aveva la scuola di disegno, dirigeva tutta la parte artistica del decorato. Una gran brava persona, che insegnava alla scuola dell’avviamento, e possedeva la dote di saper trasmettere  la materia, oltre ad essere molto capace. Pian piano capii e fui promosso alla prima super come operaio in 5 mesi.”

“ALLORA ERAVAMO ANCORA ALL’INIZIO, non c’erano i retini e si facevano i decori a mano, con gli stampi in plastica si faceva il colore e la sera, quando si usciva, chi aveva più talento andava alla ‘bottega artigiana’ dove si facevano delle sculture che venivano poi dipinte con la ramina e diversi colori ceramici. Qui ho ‘insegnato’ come fare le sculture d’argilla senza che si rompessero o riportassero crepe. Dopo pochi mesi fui trasferito nel nuovo reparto artistico della Marazzi. In questo reparto abbiamo fatto pavimenti per il Vaticano, erano tozzetti a losanghe, quadrati, altissimi in biscotto, e dipinti a mano uno per uno. Poi la Sala del Cardinal Del Caro a Bologna e una piscina per una principessa del Marocco, enorme e tutta decorata a mano con pesci, alghe, rocce. Oltre a queste commesse speciali, di routine facevamo pannelli di piastrelle smaltate, più o meno di un metro e mezzo per due, dipinti a mano con dei fondali marini. Non era facile. Non si poteva cancellare. Ma in quel reparto stavo meravigliosamente, si lavorava di fantasia. Ho imparato tanto, ad impostare il soggetto di getto, senza dormirci sopra e senza impantanarmi, a vedere le cose nel suo complesso sfuggendo alla lusinga del particolare che spesso fa perdere le proporzioni. I pannelli credo fossero regali per clienti da parte del Dr. Marazzi.”

“I fratellini”, sanguigna su cartoncino, opera di Togni
Un'opera di Sergio Togni
“DOPO TRE O QUATTRO ANNI fui promosso in ufficio a fare i disegni di piastrelle, i prototipi che se venivano approvati andavano al reparto chimico e poi prodotti. Ne facevamo tantissimi ma solo pochi passavano la selezione della commissione. Ho fatto questo lavoro per molto tempo. Sviluppavamo idee per la Germania, per gli Stati Uniti, per il Medio Oriente, ognuna diversa dall’altra a seconda del paese a cui erano destinate. Ci aiutavamo con tantissime riviste per avere idea di cosa in quegli Stati piacesse. Nel 1974 mi mandarono a Napoli ad aprire un deposito, mi ci trasferii con tutta la famiglia e vi rimasi per 5 anni. Laggiù ero l’occhio della Marazzi, ma lavorai come un pazzo. Servivamo tutte le rivendite della Campania. Ho riorganizzato tutto il magazzino ed una volta tornato, data l’esperienza che mi ero fatto, riorganizzai anche tutto il reparto dei campionari a Sassuolo. Credo di aver fatto un buon lavoro dato che oggi è ancora gestito alla stessa maniera. Dopo i campionari son tornato a fare i disegni.”

“QUANDO ENTRAI ALLA MARAZZI tutto veniva fatto internamente. Le piastrelle partivano dai nostri disegni originali, non come fanno ora con i laboratori esterni che hanno, diciamo, livellato un po’ lo stile. Noi facevamo cose originali, diverse. Disegni geometrici, a mano libera, floreali. Anche astratte fioriture di smalti e colori ossidi che spesso erano casuali, nascevano dalle prove.
La Marazzi fu tra le prime aziende, già alla fine degli anni ’60, ad avviare importanti collaborazioni con gli stilisti. Venivano a Sassuolo Paco Rabanne, la Biki, la Forquet. Parlavano con i dirigenti poi lasciavano dei disegni. Mica tutti andavano bene per la ceramica, per stoffe o per dipinti, forse, ma noi dovevamo adattarli alle regole della quadricromia che non potevano essere modificate. Ora si può fare con il computer ma allora, nel caso fossero disegni troppo complessi, eravamo obbligati a rilevare i colori uno alla volta e metterli in altrettante matrici e stamparli con i retini, dove ognuno dava la propria passata di colore. Era complicatissimo, più difficile che fare un quadro, perché i disegni su ciascuna piastrella dovevano collimare perfettamente per generare l’insieme del disegno finale. Tutto doveva combaciare al millesimo. Ho visto passare sotto i miei occhi tutti gli stili, quelli floreali degli anni ’60, geometrici degli anni ’70, in rilievo ed astratti negli anni ’80.”

“LA SODDISFAZIONE PIU’ GRANDE fu quando, alla fine della mia carriera, il mio lavoro fu riconosciuto dall’azienda. Era il 1988 e fui congedato con la lettera di ringraziamento da parte del Dr. Filippo Marazzi e la sterlina d’oro. Io ce l’ho sempre messa tutta, malgrado i miei limiti. Allora come oggi cerco di portare a termine nel migliore dei modi ogni compito che mi viene affidato.”


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