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Il Mussolini di Bellocchio Stampa E-mail
Scritto da Enrico Vannucci   
martedì 19 maggio 2009

Filippo Timi e Giovanna Mezzogiorno nell'ultimo film di Marco Bellocchio
Filippo Timi e Giovanna Mezzogiorno nell'ultimo film di Marco Bellocchio
 

DAL NOSTRO INVIATO A CANNES - Personalmente non mi verrebbe da ascrivere questo film come il migliore mai realizzato da Bellocchio – anche perché ne ha fatti tanti di ottimi, fin dal primo I pugni in tasca – ma, in ogni caso, Vincere è una pellicola decisamente sopraffina, soprattutto nella seconda parte. La storia è una pagina oscura e, per molto tempo, nascosta della vita di Mussolini: il suo primo matrimonio con una donna chiamata Ida Dalser e la nascita del primogenito Benito Albino Mussolini, entrambi internati in manicomio durante l’ascesa al potere dell’uomo di Predappio così da salvare il suo secondo (e illegale a termini di legge) matrimonio con la nota Donna Rachele. La vicenda inizia nel 1907, anno del primo incontro tra la Dalser e Mussolini, allora giovane sindacalista socialista e, in seguito, direttore del giornale del partito, l’Avanti!, per concludersi, poi, circa vent’anni dopo con la morte della donna e del figlio dopo anni di reclusione nei manicomi di Pergine e Venezia. Nella prima metà del film assistiamo allo scoppio della passione tra i due amanti (sottolineata anche da fin troppe scene di sesso) e all’ascesa politica di Mussolini, aiutato da Ida in maniera cospicua con ingenti somme di denaro dovute alla vendita di tutte le sue proprietà per amore di quell’uomo che si sentiva, parole sue, predestinato verso un grande futuro, <<più di Napoleone>>. Nella seconda parte del film invece assistiamo al rifiuto che Mussolini ha della donna e di suo figlio. Innamoratosi e sposatosi civilmente con Rachele, il fondatore de Il Popolo d’Italia, non vuole più niente a che fare con la sua amante di un tempo e, una volta assunto il potere, fa rinchiudere la donna in manicomio e ordina di affidare la custodia del bambiino prima al marito della di lei sorella e poi, in seguito a un gerarca fascista. Nonostante queste restrizioni Ida continuerà per vent’anni, fino alla sua morte ad affermare la verità, cioè che lei è la sola e unica moglie del Duce.

Il regista Marco BellocchioBellocchio produce un film che ha pochi emuli nel cinema italiano, sia a livello visivo sia come tentativo di riflessione metacinematografica sulla settima arte ma anche sulla nostra storia d’Italia. Visivamente il regista sfrutta la potenza delle immagini d’archivio e dei vecchi cinegiornali per raccontare la sua storia, ma non solo, prende anche in prestito lo stile di quel periodo per costruire ex novo simulacri necessari allo svolgimento della vicenda, come le scritte digitali che più volte appaiono sullo schermo che richiamano in maniera evidente lo stile dei giornali dell’epoca. Bellocchio dunque ci cala in un mondo in cui si perde il referente storico per entrare unicamente in quello mitico. La realtà viene cancellata non solo dalla originale (i documentari luce) ma anche dal cinema del cinema (i simulacri che vengono ricreati, a tutti i livelli, dalle scritte alle scenografie). Siamo privati, dunque, di un referente reale che viene sostituito unicamente da uno di sostanza di celluloide. La Storia si fa dunque mito. Il mito è ovviamente quello del Duce che – prendendo in prestito una considerazione di Gian Piero Brunetta – è stato l’unico vero mito cinematografico del Ventennio. Mussolini, una volta assunto il potere, ci viene presentato solo attraverso immagini d’archivio, egli, dunque, ci appare solo sottoforma di fantasma. Il suo corpo di celluloide, interpretato da Filippo Timi, si reincarna nel figlio Benitino che, una volta divenuto adulto, rivendica lui stesso di essere il padre. Timi, nei panni del figlio, rifà, ancora più esasperandolo, un discorso del Duce che Bellocchio ci ha appena mostrato. L’immagine continua ad avere come unico referente l’immagine stessa. Così come Ida, alla visione de Il monello di Chaplin, piange a causa di ciò che vede: è l’immagine ancora una volta l’unico referente dell’immagine. Immagine che viene rivelata solo nel finale quando la Dalser, sull’automobile che la riporterà nuovamente in il manicomio, guarda nella macchina da presa, svelando la finzione alla quale stiamo assistendo.

Su questo film se ne potrebbe scrivere ancora a lungo anche perché ci sono ancora molte cose che non sono state citate e, dunque, probabilmente, si tornerà a parlarne. Come ultima nota di colore la stampa italiana, tutta presente ieri sera in sala ha accolto con freddezza il film nonostante non lo meriti. L’uscita italiana è prevista questo Venerdì.

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