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DIVERSO DA CHI?, di Umberto Carteni Stampa E-mail
Scritto da Enrico Vannucci   
martedì 21 aprile 2009
 DIVERSO DA CHI, di Umberto CateniDiverso da chi?, di Umberto Carteni

ITA 2009

Con Claudia Gerini, Luca Argentero, Filippo Nigro, Antonio Catania, Giuseppe Cederna, Francesco Pannonfino

 

Voto:

6,7


Sceneggiatura: Fabio Bonifacci

BREVE SINOSSI: Divertente commedia che vede protagonisti Claudia Gerini, Luca Argentero e Filippo Nigro che racconta l’Italia di oggi dall’inusuale punto di vista di un rapporto a tre del tutto fuori dalle righe alle quali siamo abituati. Film caratterizzato da una forte e interessante tematica ma soprattutto da una comicità che farà contenti gli spettatori dei film “carini” come questo. Consigliato a tutti.

Proviamo a dare una risposta alla domanda che si pone il titolo del film. Se analizziamo il lungometraggio da un punto di vista strettamente cinematografico si potrebbe replicare con un “pochi” o, addirittura, un “nessuno”, se, invece, consideriamo la pellicola attraverso un’ottica umana e sociale potremmo concludere con un “molti”. Dunque parliamo di cinema o di vita? So che per tante persone i due aspetti coincidono ma, purtroppo, non è così. Dovremmo parlare solo di cinema ma vorrei spendere una riflessione sulla seconda questione, la vita, perché il film si fa portatore di un interessante quesito.
Sociologicamente il film di Umberto Carteni, suo esordio alla regia, scritto ottimamente da Fabio Bonifacci, già penna delle note commedie, Tandem e Allora Mambo!, è indubbiamente progressista. Nelle dichiarazioni ufficiali a mezzo stampa l’aspetto che più di ogni altro è stato sottolineato è lo sguardo positivo verso un tipo di affettività, quella omosessuale, che in Italia appare ancora a molte persone come un taboo. Tutto ciò è vero, ma il punto centrale, umanamente parlando, non è questo. Il nodo cruciale, il centro della questione è altro: il triangolo. Non che quel tipo di relazione a tre non fosse mai stata portata all’attenzione del “grande pubblico”, della “massa” – ricordiamoci, infatti, che per il Renato nazionale “la geometria non è un reato” già da trent’anni – ma qui, in questo film, il triangolo esce dalla dimensione di allegra e orecchiabile canzonetta per farsi invece una riflessione, anche scherzosa, semiseria (ma per questo serissima) sulla possibilità, o meno, di creare un tipo di relazione che non sia quella canonica (e “naturale” come piace dire, e sentirsi dire, a molti che vestono – anche a sproposito – la croce) della “sacra famiglia”: padre, madre e figlio (meglio maschio certo ma, nel caso siano due, anche femmina, ma solo come secondogenita). Il triangolo qui funziona, funziona come relazione stabile e duratura. Funziona dopo le ovvie  (e “naturali” – certo, certo) ritrosie da parte dei protagonisti che ragionano ancora secondo lo schema classico della coppia ma che, una volta superati i loro dubbi, scoprono come una “terza via” sia possibile. Ancor più interessante è dunque il fatto che gli autori scelgano, per i protagonisti della vicenda, quel tipo di relazione come quella più adatta a crescere un bambino che è, in fin dei conti, figlio di tutti e tre, sebbene, biologicamente, lo sia solo di due di loro. Ma ci troviamo sempre in un film. E’ ovvio, anche se non scontato, che un lieto fine ci debba essere e che, quindi, questa “cosa del triangolo” che a noi sembra una pazzia, debba, per forza, funzionare.
Ma dimentichiamoci per un attimo di trovarci di fronte a una commedia che richiede necessariamente una conclusione che faccia uscire sollevati gli spettatori dalla sala e non il contrario. Proviamo a immaginare se, in effetti, una relazione del genere possa funzionare anche nel mondo reale. I tre poli sono una donna, eterosessuale, e due uomini, dei quali, uno è sicuramente gay e l’altro, sebbene lui stesso non lo voglia ammettere, biaffettivo. Ed è su questa parola che, in fondo, si gioca tutta la questione: la biaffettività. Non la bisessualità, attenzione, sono due cose diverse. Si può essere bisessuali senza essere biaffetttivi come si può essere tutti e due contemporaneamente oppure biaffettivi senza essere bisessuali. La questione del triangolo si riconduce appunto alla biaffettività, a prescindere dai gusti sessuali dei suoi componenti. Almeno una persona del trio, prova dei sentimenti d’affetto non solo verso  un’unica persona ma verso due e, in particolare, nello stesso momento, contemporaneamente. Nel film, il personaggio di Argentero, non sa rinunciare né all’uno né all’altra, perché nessuna delle due persone che lui ama (diciamolo!) può essere rinunciabile. Questo è ciò che fa “scandalo”, ancor di più che l’omosessualità di alcuni protagonisti. Il “diverso da chi” che Argentero si chiede è appunto questo: ma siamo sicuri che noi persone comuni che ci costruiamo relazioni – eterosessuali od omosessuali che sia non importa – basate sul rapporto a due, in realtà non siamo portati, col tempo, a essere attratti anche da altre persone e non solo da quella alla quale abbiamo promesso amore eterno? Se ci si pensa è, forse,  anche  la stessa questione che Giuseppe Pontiggia racconta in un bel libro come Vite di uomini non illustri nel quale ognuno dei protagonisti di ogni singolo racconto, uomo o donna che sia, finisce, nell’arco della sua vita, con l’avere un’amante (ad onor del vero, tutti tranne uno). E proprio il “farsi un’amante” non è sintomo di un rapporto a tre che però, per “ovvie ragioni”, deve obbligatoriamente rimanere nascosto? E, non è che sono proprio quelle “ovvie ragioni” – riconducibili a una morale certamente millenaria ma, al contempo,  puramente di facciata – a far si che le persone vivano male la propria affettività e siano inevitabilmente portate a comportamenti puramente irrazionali come la gelosia, nella quale si pretende di “possedere” l’altra persona quando, in realtà, l’individuo come singolo è libero di autodeterminarsi e di non essere posseduto da nessuno? Qualcuno potrà controbattere che si tratta di relazioni e che in una relazione non si è soli e, quindi, appare dunque necessario portare rispetto verso l’altro/a facendo decadere e rinunciando un poco alla propria individualità e singolarità. E’ vero, ma chi ha detto che la migliore relazione sia a due? E’ questo che Diverso da chi? ci racconta. Che forse non dobbiamo demonizzare chi decide, singolarmente e in comune accordo con altre persone che hanno fatto la medesima scelta ponderata, di vivere un tipo di affettività che fino a ora non eravamo stati abituati a considerare. Non è più un problema (anche un po’ morboso) di sesso, ma è un a questione di affetto, quindi estremamente più serio, perché di mezzo non c’è solo il piacere fisico ma i sentimenti. Roba che scotta dunque. Per i “benpensanti” probabilmente si tratta di un passo in più verso il baratro, per tutti gli altri, forse, solo un riconoscimento, dopo millenni di corna più o meno tenute nascoste, che non siamo poi così diversi gli uni dagli altri e che i sentimenti non possono essere comandati da un aprioristico precetto che stabilisce che un’unione è obbligatoriamente per sempre. Ciò non vuol dire che chiunque sia portato al triangolo o a relazioni più complesse di un rapporto solo con un’altra persona. Dopo millenni di contratti matrimoniali stipulati tra due entità, almeno in Occidente, non è così facile accettare un rapporto in cui sono comprese più persone alla luce del sole, pubblicamente e, ancora,   rimane più facile tenerlo nascosto e segreto per paura, molto speso, di cosa potrebbero pensare gli altri. Sicuramente, però, oggi, all’inizio del terzo millennio, si potrebbe (o, meglio, si dovrebbe!) smetterla di voler catalogare il mondo nei termini antitetici di rettitudine e devianza, definizioni che non lasciano via di scampo a situazioni che non rientrano, oggettivamente, né nell’una, né nell’altra. Ciò che si dovrebbe fare sarebbe, dunque, accettare –  come si sta facendo, qui in Italia, con molto a fatica, verso omosessuali, bisessuali e transex e come, nei loro confronti, hanno già fatto in paesi più civili del nostro – che vi sono numerose sfumature di grigio che possono risultare incomprensibili ai più ma che, al tempo stesso, possono essere capite e vissute benissimo da coloro che le vivono e che, proprio per questo, non debbono essere giudicate da nessuno, soprattutto da coloro che hanno la pretesa di sapere “come va il mondo”, ma, al contrario, essere lasciate libere di svilupparsi secondo il loro ciclo naturale (questa volta sì senza virgolette!).
Purtroppo (o per fortuna, per qualcuno dei lettori di questo articolo) dobbiamo parlare anche di cinema.  E qui, sinceramente, c’è poco da dire. Il film non si discosta dalla classica messa in scena delle commedie italiane degli ultimi anni. Indubbiamente la sceneggiatura, come si capisce anche dalla tematica alla quale ho dedicato la maggior parte dell’articolo, è arguta – soprattutto anche quando prende meravigliosamente in giro i politici e i partiti dell’Italia contemporanea, mettendo in evidenza le palesi contraddizioni del PD – gli interpreti risultano molto bravi – dalla Gerini ad Argentero fino al credibilissimo Nigro, senza dimenticare le macchiette meravigliosamente portate sullo schermo da Catania, Cederna e Pannofino – ma per il resto rimaniamo sempre nella produzione media italiana. Se la tematica fosse stata sviluppata dagli americani certamente il film sarebbe stato differente. E non per una questione di soldi, quanto per una questione di universalità che il film avrebbe avuto e che noi, nel nostro paese, non riusciamo a dare. Non riusciamo a ragionare con i nostri miti e a crearne di nuovi, cosa che oltreoceano riescono a fare in maniera squisita. Ma si potrebbe discuterne a lungo sulle cause di questa nostra mancanza senza mai venirne fuori. Accettiamo dunque Diverso da chi? per quel che è, una buona e divertente commedia che tenta di porre l’accento su un aspetto che dovrebbe essere preso, forse, anche in maniera seria. Accontentiamoci dunque, anche perché poi il risultato finale non è affatto malvagio.



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Anonimo   |2009-04-21 17:41:08
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