• Media e video
  • Interviste
  • Piastrellino
  • Inchieste
  • Arretrati
LA MATASSA, di Ficarra, Picone e Avellino Stampa E-mail
Scritto da Enrico Vannucci   
mercoledì 25 marzo 2009
 LA MATASSA, di Ficarra, Picone e AvellinoLa matassa, di Ficarra, Picone e Avellino

ITA 2009

Con Salvatore Ficarra, Valentino Picone, Pino Caruso, Claudio Gioè, Anna Safroncik, Mario Pupella

 

Voto:

7

Sceneggiatura: Salvatore Ficarra, Valentino Picone, Francesco Bruni, Fabrizio Testini

BREVE SINOSSI:

Terzo film del duo siciliano Ficarra e Picone questa volta alle prese con una divertente commedia basata su un’intricata serie d’incomprensioni nate da una lotta ultraventennale tra due rami di una famiglia per un eredità contesa. Si ride dall’inizio alla fine, senza tregua. Consigliato a chiunque voglia prendersi un ora e quaranta di puro svago.

C’è qualcosa di terribilmente serio nei film del duo comico Ficarra e Picone. Quest’aspetto non è certo dovuto tanto alla presenza, nella storia e nella trama delle pellicole da loro interpretate e firmate, di elementi più verosimilmente drammatici – in questo La Matassa, una “faida” ultraventennale tra i due rami di una famiglia per faccende legate all’eredità contesa di un albergo – quanto, piuttosto, al modo in cui i due approcciano il cinema di genere comico, il loro stile, infatti, appare non solo unico nel panorama italiano contemporaneo ma detiene ben pochi, pochissimi, epigoni in quello mondiale.
Ficarra e Picone sono infatti gli ultimissimi eredi di quella slapstick comedy resa famosa soprattutto negli anni Venti del Novecento all’interno del cinema di Hollywood da calibri come Buster Keaton, Charlie Chaplin, Stanlio e Olio, i Fratelli Marx o i Tre Stooges, solo per citarne alcuni (e che alcuni!), ma che trova radici anche nella nostra produzione nostrana, per esempio nella figure dei comici Cretinetti, Tontolini/Polidor1  o quella, più recente, di Benigni, il quale, a volte, appare più un cartone che un essere umano (d’altronde cosa aspettarsi da colui che ha impersonato Pinocchio sul grande schermo?). Non voglio qui certamente affermare che La Matassa sia un film che possiamo comparare, ad esempio, alle grandi opere di Chaplin, sarebbe irrispettoso verso quest’ultimo e irridente nei confronti dei bravi Ficarra e Picone ma ciò che mi preme sottolineare è come il duo comico siciliano sia ormai l’unico, oggi, nel panorama cinematografico italiano, a farsi portatore di una comicità diversa, vecchio stile, che si rifà alle origini mute del cinematografo, quando la parola non era contemplata e l’assenza del sonoro non appariva come limite ma come sfida creativa. Pensiamo a ciò che la comicità italiana ha prodotto per il grande schermo negli ultimi dieci o vent’anni. Difficilmente si tratta di pellicole autoctone, che nascono cioè nell’universo del cinema e per il cinema. In maggioranza, per non dire nella quasi totalità, si è assistito a un fenomeno di transumanza dalla televisione alla sala cinematografica di comici, nati casomai nei locali storici di Milano, esplosi, a livello mediatico, sui palcoscenici televisivi, Zelig o i programmi della Gialappa’s Band su tutti. Pensiamo ai vari Aldo, Giovanni e Giacomo, Ale e Franz, i Fichi d’India, Giorgio Panariello, Anna Maria Barbera, Gabriele Cirilli, Fabio De Luigi, Luciana Littizzetto solo per citarne alcuni. Per molti di questi comici il loro primo approccio con il cinema ha preso la forma di una semplice trasposizione dei loro più riusciti sketch da una serie di esibizioni di cinque o dieci minuti a una pellicola di un’ora e mezza che assume la valenza del contenitore. L’esempio più famoso, e forse anche il più riuscito, è quello di Tre uomini e una gamba, vero e proprio collage di battute e personaggi di successo – chi si può dimenticare di Ajeje Brasorv? – tratti dagli anni di cabaret teatrale e televisivo del trio più famoso d’Italia. Neanche i prodotti comici più marcatamente (e storicamente) cinematografici come gli ormai annuali Vacanze di Natale – e i loro vari epigoni, spin-off e riproposizioni che si sono visti in questi ultimi anni – possono dirsi esenti dall’invasione dei comici del piccolo schermo, anzi, ad un’analisi più attenta, parrebbe che questi film abbiano sempre strizzato l’occhio al pubblico della televisione, inserendo a ogni loro riedizione le novità dell’ultima stagione venute alla ribalta sul piccolo schermo. Volti nuovi presi in prestito non solo dai palcoscenici dei programmi comici quanto, piuttosto, dall’intero mondo televisivo più generalista: pensiamo alla presenza di Luke Perry, il Dylan di Beverly Hills 90210, in Vacanze di Natale ’95 oppure a quelle, in particolare negli ultimi anni, delle “bellone” di turno, da Megan Gale, famosa per una serie di pubblicità, in Vacanze di Natale 2000 o a Elisabetta Canalis, chiacchierata stellina del piccolo schermo, in Natale a New York oppure ad Aida Yespica, appena tornata da un reality show, in Natale in crociera. Caratteristica peculiare di questi comici da cabaret è senza dubbio la parola, lo sketch basato sul motto di spirito, il wit. Certo, molti di questi, se non tutti, interpretano dei personaggi con tic ricorrenti e con caratteristiche fisico-costumistiche peculiari ma queste caratteristiche ne fanno solo delle maschere, dei contenitori che aiutano a veicolare meglio il contenuto comico che risiede tutto nella parola e nell’abilità di chi l’ha scritta e di chi la declama. La voce è dunque preminente sul gesto, sul movimento, sull’effetto scenico.
In Ficarra e Picone (ma anche in alcuni personaggi scaturiti dalla mente geniale di Antonio Albanese – autore che meriterebbe un discorso a parte data la sua importanza – come, ad esempio, Pacifico in La fame e la sete) non è la parola il mezzo principale deputato a provocare la comicità  – sebbene i film del duo siano pieni di battute ben scritte e ben recitate – bensì l’effetto visivo, l’esagerazione gestuale, la mimica portata agli estremi, il ripetersi inesorabile delle stessi errori (la scena delle tre chiese sulla medesima piazza ne La Matassa è un esempio riuscitissimo di questa reiterazione comica basata sull’incomprensione del gesto). La comicità del duo è violenta così come era violenta quella dei nobili avi, da Chaplin ai Marx, violenta proprio perché giocata sul corpo e non sulla parola, quest’ultima certamente più fine, più intellettuale e dunque leggera. Ficarra e Picone sono due oggetti impazziti che si muovo sullo schermo a ritmi irrefrenabili, veloci, schizofrenici, la loro cadenza naturale è la corsa, non il passo, infatti in questo film, come nel precedente Il 7 e l’8, si corre e non si sta mai fermi. E la macchina da presa con loro. Tutto il film è pensato, dalla regia al montaggio, in questa chiave frenetica, violenta, antiriflessiva. E’ proprio per questo che la pellicola arranca inevitabilmente nei momenti in cui si fa seria, in cui sono i ricordi dei personaggi a subentrare all’azione pura che permea il film. Momenti necessari alla diegesi certo, ma che interrompono quel flusso vitale che permea l’opera comica del duo e che caratterizza il loro intero lavoro come il migliore, da anni a questa parte, nel panorama del cinema comico italiano. Il migliore forse proprio perché si rifà a un genere ben codificato, in cui i canoni sono definiti e immutabili, nel quale non vi è bisogno dell’arguzia (o del genio) di un autore di pensiero capace di elaborare, scrivere e recitare battute dal gusto fine ma al contempo spassosissime (si prenda come esempio il Woody Allen più maturo, dopo gli esordi quando, invece, anch’egli basava tutta la sua comicità sulla slapstick comedy2). Questo non significa ridimensionare il valore o la genialità degli autori di slapstick, incensando invece coloro capaci di creare il comico dalla motto di spirito, bensì con ciò si vuole ridare ai primi quel posto importante nel mondo della comicità cinematografica che sembrava ormai andato perso da tempo, non solo nel nostro paese ma anche nello scenario mondiale (dove dobbiamo ricordare un altro sublime interprete odierno che si rifà alle commedie di tale genere come Jim Carrey).
La speranza dunque è una sola: che Ficarra e Picone continuino sulla strada da loro intrapresa per  un proficuo rinnovamento – con un occhio rivolto al passato – della comicità del nostro paese. Genere forse un po’ troppo stantio se i suoi massimi esponenti devono essere considerati  i Boldi e De Sica (o i Ghini e De Sica) le cui massime espressioni comiche si riducono a loro battutacce vernacolari in dialetto romanesco o meneghino condite da peti e flautolenze varie che, sebbene possano apparire come gesti corporei (o meglio, corporali), non hanno nulla a che vedere con il genere slapstick ma che, anzi, risultano essere solo un uso volgare e basso del mezzo sonoro applicato alla settima arte. Sempre che, in questi casi, a differenza di Ficarra e Picone, di arte si possa effettivamente parlare.
 

1  Per una breve storia dei comici ai tempi del muto si veda GIAMPIERO BRUNETTA, Cent’anni di cinema italiano – Volume I, Roma-Bari, Editori Laterza, 2003 oppure ROY MENARINI, La parodia nel cinema italiano, Bologna, Hybris, 2001.

2 A questo proposito si veda FRANCO LA POLLA, Sogno e realtà americana nel cinema di Hollywood, Milano, Editrice Il Castoro, 2004, pp. 274-279.




Commenti
Nuovo Cerca
Commenta
Nome:
Email:
 
Website:
Titolo:
UBBCode:
[b] [i] [u] [url] [quote] [code] [img] 
 
 
:angry::0:confused::cheer:B):evil::silly::dry::lol::kiss::D:pinch:
:(:shock::X:side::):P:unsure::woohoo::huh::whistle:;):s
:!::?::idea::arrow:
 
Please input the anti-spam code that you can read in the image.

3.22 Copyright (C) 2007 Alain Georgette / Copyright (C) 2006 Frantisek Hliva. All rights reserved."

 
< Prec.   Pros. >