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Quando il Distretto si indebita Stampa E-mail
Scritto da Daniele Dieci   
mercoledì 25 marzo 2009

I numeri della crisi della ceramica sassolese 

Come si è arrivati di fronte alla crisi? Qual era, in fin dei conti, lo stato di salute del settore ceramico prima che scoppiasse la bolla finanziaria? E’ sempre più facile, in questi mesi, assistere a manifestazioni di sconforto e sfiducia, ad interventi volti a drammatizzare lo stato attuale dell’economia italiana e mondiale. In pochi però si sono chiesti se, oltre al fallimento del sistema finanziario e alla “globalizzazione” additata come fattore scatenante della crisi, ci siano state altre cause. Nessuno, in sostanza, è andato a vedere se ci fossero anche delle responsabilità dirette della gestione operativa delle aziende.
Questo è uno dei quesiti che abbiamo sottoposto ad Alfredo Ballarini, dello Studio Ballarini di Sassuolo, che ogni anno redige Top Tiles Italy e Top Tiles Spain, un’analisi di bilancio delle principali ceramiche italiane e spagnole. Un profondo conoscitore della reale situazione economica del nostro distretto, e proprio per questo capace di tracciare alcune linee interpretative, sia sulle cause della crisi che sulle eventuali strade da percorre per uscirne.

Alfedo Ballarini
Alfredo Ballarini
Dottor Ballarini, a cosa dobbiamo la drasticità della crisi economica?
La brusca frenata indotta dalla crisi economica è legata ad una contingenza particolare, cioè alla situazione finanziaria. Se andiamo a vedere i dati degli anni scorsi, noteremo come già da tempo il settore ceramico fosse in discesa costante. A questo stillicidio s’è aggiunto il terremoto finanziario, che ha accelerato ed amplificato un processo che era già in atto.
Si può quindi considerare in modo quasi benefico il duro impatto economico che la drammaticità della crisi ha portato con sè?
Di sicuro sappiamo che dalle crisi eccezionali, come può essere appunto quella che stiamo vivendo attualmente, nascono grandi opportunità. Se non ci fosse stata questa accellerata, lo scivolamento del settore sarebbe continuato ad essere lento ma costante, proiettando in futuro più lontano una realtà ancora più difficile da superare. Questo rapido scatto porterà le aziende a muoversi in maniera più decisa,  concetto però vale solo per le aziende che hanno la forza e le possibilità per farlo.
A questo, inoltre, dobbiamo aggiungere la crisi del settore immobiliare, legato a doppio filo con il settore ceramico.
Certo, anche per questo abbiamo avuto danni ancora peggiori rispetto ad altre aree di produzione. Soprattutto ci ha tagliato le gambe la crisi delle costruzioni in America. Teniamo però presente che si era arrivati a un mercato immobiliare esageratamente brillante, drogato dai cosiddetti titoli tossici, che finanziavano l'acquisto della casa anche a chi non era in grado di restituire il debito: un mercato così forte non sarebbe potuto durare a lungo.

 

Il debito delle ditte sassolesi cresce con la produzione


Tutto questo non era prevedibile?
Certamente si è arrivati alla crisi nel modo peggiore, con un indebitamento del settore ceramico italiano decisamente elevato. In questo modo, è ovvio, si hanno le mani legate e non si riesce a rispondere alla straordinarietà del momento se non cercando di salvare l’azienda. Gli imprenditori devono essere liberi di pensare e poter agire per assicurare un futuro all’azienda e ai dipendenti che riusciranno a mantenere in proporzione alla forza della domanda. E’ la politica che deve provvedere alle persone escluse, favorendo la creazione di nuove imprese, il reinvestimento di capitali  e, nella nostra zona, organizzandosi per avere sempre a disposizione risorse per gli ammortizzatori sociali, creando uno stato sociale forte e un mondo del lavoro sano, in grado di riassorbire i licenziati.
E’ quindi normale che in un periodo come questo i primi a pagare siano i lavoratori?
Crisi vuol dire ristrutturazione. La cassa integrazione e la mobilità sono strumenti normali all’interno di fenomeni economici così drastici, per frenare la sovrapproduzione e recuperare liquidità al servizio della gestione, per evitare possibili tensioni finanziarie che possono portare al fallimento e di conseguenza alla chiusura totale. A questo, ovviamente, bisogna aggiungere anche la pressione psicologica della paura della crisi, aspetto che i mass media non aiutano a placare.
Insomma, la risposta a tutto sarebbe quella di mantenere l’azienda in salute, pronta a rispondere ad eventuali periodi neri.
Esatto. Tutto sta nel cercare di tenere il livello d’indebitamento basso, proporzionato alla gestione, cosa che però non tutte le aziende sono riuscite a fare.
Come la Kerakoll?
Certo, la Kerakoll è l’esempio migliore di come bisogna avvicinarsi ad una crisi. Indebitamento nullo, liquidità e quindi forza di reazione decisamente alta. La sua risposta è stata  infatti quella di assumere dipendenti qualificati in grado di portare nuovo valore ai prodotti. Ma, per fortuna, può bastare anche una situazione meno ottimale di quella della Kerakoll per superare la crisi.
Una previsione per il futuro?
A mio modo di vedere la frenata è stata talmente brusca che assisteremo, come avviene in borsa, a possibili “denti di sega” anche nell’economia reale, sbalzi anche improvvisi che caratterizzeranno il mercato per diverso tempo. Nel senso che, quando comincerà a tornare la domanda, ci saranno anche aziende che, avendo frenato troppo, si troveranno superate da qualche altro concorrente.

I primi 10 competitors della Piastrella del Distretto di Sassuolo 



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