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L'ossessione per i campi

Scritto da Simone Ghiaroni

mercoledì 09 aprile 2008

I campi nomadi sono un'istituzione italiana dei primi anni settanta. All'interno di questi campi vengono concentrati quelli che noi chiamiamo zingari e che riteniamo essere nomadi. In realtà si tratta di un insieme di popolazioni (in primo luogo Rom, ma anche Sinti, Manus, Kalé) in maggioranza sedentarie e che in tutta Europa risiedono in normali abitazioni. Ma disporre delle aree marginali al di fuori della città è un buon modo per evitare l'incontro, escludere delle persone, negare dei diritti per evitare un problema. Salvo inviare qualche pattuglia della polizia e della televisione quando accade qualcosa di spiacevole.
Di certo, l'idea di rinchiudere delle persone all'interno di campi non era nuova per l'Italia, basti pensare al lager fascista di Giado in Libia, o - più vicino a noi - al campo di Fossoli, che risale al 1942 all'inizio come campo di prigionia per soldati inglesi, da cui poi partivano i treni per Auschwitz-Birkenau, Dachau, Buchenwald, Flossenburg.
Ma quest'ossessione per i campi continua, tanto che nel 1998 la legge Turco-Napolitano istituisce i CPT, centri di permanenza temporanea, in cui vengono internate delle persone, gli immigrati, in attesa a tempo indeterminato di identificazione o di espulsione. E ce n'è uno proprio vicino a noi, non distante da Fossoli, in via Sant'Anna a Modena.
Mentre le persone che si escludono dalla vita sociale (o dalla vita e basta) – ebrei e zingari prima, poi migranti in genere – sono rinchiuse con la forza in campi o centri, altri si chiudono di propria spontanea volontà in altri tipi di centri: commerciali, estetici, benessere, direzionali. Per ritornare a dormire in veri e propri quartieri (o cittadine) dormitorio, quei luoghi che potremmo chiamare PPT, periferie di permanenza temporanea.