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Obiezione medica Stampa E-mail
Scritto da Francesco Martignoni   
giovedì 22 gennaio 2009
La Regione Piemonte, tramite il suo governatore, ha fatto sapere che è pronta ad eseguire le disposizioni della magistratura per quanto riguarda la sorte della Englaro. Visto che le richieste dei familiari sono sostenute da una sentenza definitiva della magistratura, già la direttiva del governo a riguardo è molto più grave di quanto i media italiani lascino trasparire. Ma il fatto che, dopo il Papa, anche il Vescovo di Torino inneggi all’obiezione di coscienza per i medici ci porta ad uno stadio evolutivo sociale pari a quello iraniano. È scandaloso che la Chiesa, con una medievale azione di potere temporale, si permetta di invitare alla disobbedienza di una sentenza della magistratura. Questo comportamento è tecnicamente considerato reato dalla legge italiana. Ma sicuramente non è la cosa peggiore che è stata lasciata passare nel nostro paese negli ultimi anni. Il punto preoccupante è che se davvero i medici avessero la possibilità di appoggiarsi all’obiezione di coscienza e cominciassero a farlo senza considerare che non hanno giurato sulla Bibbia, ma sul testo di Ippocrate, si potrebbe creare una situazione assurda e nefasta. Il medico deve svolgere la sua professione proiettato verso la salute e la dignità della persona che sta curando e non verso se stesso. Anche perché se oggi il medico cattolico non vuole “sostituirsi a Dio” laddove lo aveva già fatto impedendo di morire a una persona già morta, domani il medico testimone di Geova potrebbe rifiutarsi di farmi una trasfusione di sangue, e dopodomani il medico induista potrebbe non ricucirmi la pancia perché il filo di sutura è fatto con intestini di vacca. Se poi il mese prossimo tutti i farmacisti decidessero che, per questioni religiose, non vendono più i profilattici, be’, dovremmo prepararci al ritorno della sifilide in pompa magna. Oppure si potrebbe vivere la propria spiritualità in un modo un po’ più sano, senza tanti clamori, il che porterebbe sicuramente a meno pubblicità per tanti, ma anche ad una società più evoluta e meno esposta al ludibrio del resto d’Europa.


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