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LE STORIE DI MIA ZIA, di Ugo Cornia Stampa E-mail
Scritto da Davide Scaringi   
domenica 30 novembre 2008
 STORIE DI MIA ZIA (E DI ALTRI PARENTI), di Ugo Cornia

Le storie di mia zia (e di altri parenti), di Ugo Cornia

(Feltrinelli, 2008)

166 pagine, € 12,00 

È del 16 ottobre scorso l’uscita nelle librerie del nuovo libro di Ugo Cornia, Le storie di mia zia (e di altri parenti), edito da Feltrinelli. L’autore, ormai alla sesta uscita editoriale e con una schiera di lettori fedeli, in questo libro racconta una serie di vicende che vanno da fine Ottocento, in cui nascono trisavoli e parenti vari, fino ai giorni nostri. Ci sono cento episodi, che sembrano ricalcare per forma e contenuto il Trecento novelle del Sacchettti o la sesta giornata del Decamerone di Boccaccio, quella dei motti arguti e dei detti mirabili. I cento bozzetti che compongono il libro vedono piccole storie, aneddoti e episodi più o meno buffi intercorsi ai protagonisti della narrazione. Direttamente o indirettamente compaiono sempre in queste brevi narrazioni i parenti di Ugo Cornia, quando non lui stesso, gli amici di sempre e i personaggi bizzarri montanari e modenesi. Cornia preleva questi episodi dalle grandi cene familiari, da cui attinge i soliti racconti orali di famiglia, trasformandoli in racconti scritti, cercando di mantenere il più possibile fedele e mimetica la lingua orale e quella scritta. Le storie di Cornia percorrono con la sua solita leggerezza tutto un secolo di fatti marginali e in un certo senso antistorici, che portano in superficie gesti, impressioni, motti e battute folgoranti, o semplici rendicontazioni di episodi comuni senza un apparente nesso tra loro. Un senso non apparente ma che pare a Cornia molto congeniale, poiché nella lettura completa di questi episodi si colora un mondo, si percepiscono unioni e sentimenti, legami familiari spesso scanzonati e allegri nonostante l’approssimarsi della morte. Le tinte paiono essere quelle naive dei parlanti, e in questo caso sono i modi di dire e le espressioni dialettali scritte senza nessun segno diacritico, in modo semplice come sono pronunciate, a correrci in soccorso. Il panorama che Cornia offre ai suoi lettori parla di persone che in maggior parte non sono più, e ricordiamo le zie, lo spassosissimo e diabetico zio Santo, e in questi ricordi si sente una dolcezza andata, come il rifugio di montagna dove non si fa più il festival d’estate, dove il Cornia bambino scopriva il mondo, il pericolo rappresentato dal Fosso Emanuele quando piove, mentre in una concezione nuovamente ancorata alla realtà vengono letti gli episodi odierni, fatti di esperienze e di scambi con gli amici e i conoscenti. C’è il Cornia che sventa suo malgrado un furto senza rendersene quasi conto, il Cornia alle prese con l’invadenzza delle vendite e delle reclàme telefoniche, il Cornia che di pelle ce n’è una sola, vista la smemoratezza con la quale cura la sua auto, e via di questo passo. Questo nuovo libro di Cornia pare rendicontare ciò che di precedentemente era stato scritto da lui, lo riadatta e allarga in un progetto più ambizioso, ma comunque abbandona definitivamente la narrazione vera e propria seguendo un flusso privato e non costante, teso a realizzare un affresco di immagini e di personaggi che continuano a muoversi anche quando non sono presenti, tutti confluiti nel suo ricordo e da lui metabolizzati ed eternati come tali. Sembra che l’autore ci aiuti a distoglierci dalle noiosità quotidiane e dal circo Barnum della comunicazione mediatica - ormai sempre più sclerotizzata e tesa al panico e alla catastrofe, nda- quasi fosse un Seneca moderno, suggerendoci di rimanere sempre calmi e di aspettare il corso del tempo facendo quello che più ci piace fare. Forse un po’ troppo pretenziosa l’opera di Cornia, anche se la lettura scorre veloce e induce il lettore a rievocare i propri aneddoti familiari come unica linfa possibile, per sé e per gli altri. È forse uno scrittore che depreca certa scrittura e si pone in una posizione conflittuale con certo teatrino culturale. Cornia pare essere un antieroe che si muove nel mondo letterario con la sua aria svagata, sfuggendo ad ogni tentativo di conformarsi a qualsiasi genere e definizione, come è accaduto persino ai suoi libri precedenti. Lettura piacevole.


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