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Danilo Pifferi, pioniere genuino che ci saluta Stampa E-mail
Scritto da Fabio Panciroli   
giovedì 10 novembre 2005

Sassuolo perde un altro dei suoi pionieri, dopo Afra Giacobazzi e Angelo Carani, solo per citare due dei nomi che hanno fatto la storia (e la fortuna) della nostra terra, anche Danilo Pifferi nei giorni scorsi ha salutato per l’ultima volta la città alla quale era tanto legato e che aveva visto crescere, svilupparsi, e trasformarsi.
Un personaggio naif, Danilo Pifferi, che potrebbe tranquillamente essere uscito dalla penna di Guareschi, ambientato in una Sassuolo che, alla Brescello di Don Camillo e Peppone, assomigliava come una goccia d’acqua.
Per ricordare quei tempi, infatti, occorre fare piazza pulita: dimenticarsi della Città di oggi tutta fabbriche e tir, dimenticare i neon scintillanti che troneggiano sulle strade in questi giorni che ci avvicinano al Natale, le strade a due, tre, quattro corsie. Bisogna calarsi in una Sassuolo in bianco e nero: la Sassuolo che prendeva la scia della ricostruzione post bellica per agganciarsi a quel boom economico che, alla fine, avrebbe contribuito in maniera determinante a far nascere.
Era la Sassuolo dei “birocciai”, era la Sassuolo della Saime, nella quale Pifferi iniziò a lavorare a quattordici anni, della Contessa Vistarino, che gli concesse l’utilizzo di una baracca nel suo parco e che lui utilizzò come abitazione per uscire dalla casa di famiglia; era la Sassuolo del “poca spesa buona resa” e Pifferi iniziò a riciclare gli smalti scartati, raschiando anche il fondo dei barili per ottenere nuovi composti e ottenere così gli “screziati”.
In questa Sassuolo, poche chiacchiere e pedalare, Pifferi ci stava bene come l’abito talare a Fernandel. Lui, uomo tutto d’un pezzo, con una sola parola e principi da seguire; sempre e comunque. Principi, valori morali, come la lealtà, l’onestà, la famiglia e un orgoglio degno del “montanaro” più genuino che a quel tempo si chiamava “onore”.
Carabiniere ai tempi del Re, Pifferi abbandonò l’Arma quando gli chiesero di giurare fedeltà alla Repubblica: non avrebbe potuto, lui che aveva già prestato alla Monarchia quel giuramento; non importava se Savoia erano in esilio, se l’Italia aveva sostituito il Re con un Presidente: la sua parola era una sola, come la sua faccia, ed era già stata spesa.
Di quei valori morali, assieme ad un genio fuori dal comune ed al coraggio di scommettere tipico degli “imprenditori” di quel tempo, Danilo Pifferi fece le fondamenta sulle quali costruire una nuova casa, più bella e più spaziosa di quella baracca nel parco Vistarino: una nuova casa in cui tutta Sassuolo trovò il proprio spazio.
Nell’ultima intervista rilasciata in televisione, Danilo Pifferi, interrogato su quale fosse la stata la sua fortuna più grande rispose: “Avere avuto un figlio così”.
Questo era Danilo Pifferi.



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