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Tyrannosaurus Rex Stampa E-mail
Scritto da Michele Reginamaria   
giovedì 02 novembre 2006


E’ il 16 luglio 2006 e sono quasi le otto di sera, mentre aspetto con la mia famiglia, seduto ad un tavolino del bar-tabacchi alle grotte di Castelcivita, l’arrivo di mio fratello Gabriele, della moglie Carla e, soprattutto, dei piccoli: Michele e Silvia.

Con il silenzioso e sottile dolore della nostalgia, considero che, senza volerlo, è quasi un anno che non ci vediamo.

Ilaria comincia a mostrare segni d’insofferenza per l’attesa perchè non ci sono giochi, per una bimba della sua età, in questo posto e legittimamente rompe un po’ le scatole a tutti chiedendo¬, quasi ogni cinque minuti: “Quando arrivano i cuginetti?”. Sbruffando e lamentandosi che non c’è niente da fare.

Ho esaurito i miei giochetti di parole e mi rendo conto che, come giullare, non sono bravo perché con lei non posso certo sfoderare il mio repertorio di barzellette, abbastanza sconce, che conosco.

Mia figlia Chiara, anche lei un po’ annoiata, sembra persa nei suoi stati d’animo e pensieri da quindicenne; non mi aiuta, come invece fa di solito, per regalare a me e alla madre un po’ di tranquillità dopo il lavoro, comportandosi da brava baby-sitter con la sorellina.

Ora è semplicemente se stessa: troppo grande per giocare con Ilaria, troppo piccola per sentire il rumore dei pensieri e delle preoccupazioni di mamma e papà che, apparentemente oziosi, sorseggiano una limonata in un luogo che non è solamente un “bel posto”, ma per loro rappresenta un po’ un ritorno alle origini.

E’ in quei luoghi, infatti, che la madre si è affacciata alla vita ed è cresciuta; ed è sempre tra quelle montagne che suo padre ha ritrovato se stesso, dove le sue ferite di bambino e di giovane uomo, sono state curate e lavate dal sale del mare della sua Salerno, attraverso l’amore immenso ed intenso che solo una donna del Cilento sa donare.

Per ingannare il tempo – lo so, sto dicendo una grande sciocchezza: il tempo è forse l’unica cosa al mondo che non si può ingannare! – siamo andati a fare una passeggiata fino al ponte, lì vicino, per ammirare meglio il fiume che, lento, scorre come la nostra vita e, come lei, trasporta antichi ricordi, a volte dolci ed alcune altre dolorosi (segreta è la lacrima che dalla mia guancia precipita e che arriverà fino al mare e da lì, magari, salirà in Cielo, nel cuore grandissimo e fragile di mio suocero Pietro).

E’ forse la visione di quello scorcio di natura così vera e dell’imbrunire, a lei, bimba abituata a vedere, di solito, solo i palazzi e le fabbriche di un’onesta e laboriosa cittadina padana, a stimolarle l’incredibile fantasia e la paura che le fa chiedere se, all’improvviso, può saltar fuori un ferocissimo tirannosauro.

Sorridendo un poco, credo di tranquillizzarla assicurandole che i dinosauri si sono tutti estinti milioni d’anni fa, ma evidentemente non è così perché sedendoci nuovamente davanti al bar, m’incalza chiedendomi: “Ma se uscisse fuori, adesso, di là (indicandomi con la manina il folto scuro della vegetazione) tu, papà, scapperesti?”

Stavolta prendendola in braccio, rispondo: “No, gli andrei incontro”

- Per ucciderlo?

- No…Non potrei mai farcela contro un simile bestione.

- Allora perché?

- Così se esistesse, ma come ti ho detto prima, ormai non esistono più da tantissimo tempo, mentre lui mangerebbe me, tu, la mamma e Chiara, potreste scappare e mettervi in salvo…OK?”

Fa cenno di sì, mentre si accoccola meglio tra le mie braccia.

Mia moglie mi osserva senza parlare e, con lo sguardo, sembra dirmi: “Lo so che lo faresti, lo so che così tu sei uomo e soprattutto padre; per questo, nonostante i tuoi mille difetti, ti amo e ti stimo”

I miei occhi rispondono, come in un famoso e stupendo film romantico, soltanto con una parola: “Idem”

Accarezzo la bionda testolina di mia figlia e rifletto che è troppo piccola, ovviamente, per saper leggere il linguaggio del corpo e rendersi così conto che ho fuggito il suo sguardo, mentre le affermavo che il tirannosauro, il mostro, non esisteva più: mentivo sapendo di mentire, godendo pure dell’ammirazione di una figlia innamorata del papà, in quell’attimo, il suo più grande eroe.

E’ solo che ho ritenuto, giustamente, meglio non dirle che invece il “mostro” esiste veramente, ma si chiama porno-pedofilia, pulizia etnica, petroldollaro, guerra santa, mafia, disperazione che ti fa salire su una carretta del mare e che tu speri ti possa portare dall’Africa al finto paradiso dell’Europa.

A volte il mostro si chiama, semplicemente e tragicamente, qualunquismo, relativismo o addirittura cinismo.

Penso che, a sette anni, Ilaria debba continuare a credere che i mostri, le streghe e gli orchi esistano soltanto nelle favole e lasciarle, per quanto mi sarà ancora possibile, la gioia di sorridere e parlare serenamente con tutti, com’è sua abitudine.

Lei non deve sapere che, nella ex Jugoslavia, un “essere umano” ha violentato una donna sotto gli occhi dei suoi tre figli e, dopo, l’ha costretta ad andare in cucina a prendere il coltello più affilato che aveva e a scegliere quale dei tre, doveva essere sgozzato per primo.

Non deve comprendere perché, ora che è più grandina, preferisco vedere il telegiornale da solo e non più abbracciato sul divano con lei, per non farle percepire, neanche inconsciamente, che spesso avrei soltanto voglia di morire, con la speranza di poter così guardare negli occhi Dio e dirGli: “Ho solo delle piccole ed insignificanti lacrime della mia anima, per rispondere al Tuo infinito messaggio d’amore e per implorarTi di far cessare tutto questo male…Preferisco essere schiavo dell’amare piuttosto che libero di odiare!”

Poi, rendendomi conto che il mio dolore umano non è assolutamente nulla in confronto al Suo, divino, chiudo gli occhi fingendo di volerli un poco riposare, mentre invece canto, mentalmente, il ritornello di una vecchia e cara nenia che, a un certo punto, recita così: - Ahi, quanto Ti costò l’averci amato! –

Mentre con un dito, scorro il profilo di questo pulcino che cerca, quanto più può, di rannicchiarsi tra le mie braccia, per lei, così forti e sicure, sono più che convinto di non poterle rivelare che io non avrei certo il coraggio di sacrificarla, per dare il tempo e la possibilità di salvarsi dal mostro, ad altri bambini, di tutte le età e di tutti i tempi.

E questo a differenza di quanto hanno fatto un “Papà” ed una “Mamma” che offrirono il loro “Bimbo” di trentatre anni che, puro ed innocente, si prese sulle spalle tutto il male del mondo, per salvarci.

Leggero e teneramente fresco, mi avvolge uno sbruffo di vento estivo e mentre lo respiro profondamente, mi sembra di udire, ancora una volta, la voce di mio suocero chiamarmi.

Adesso io so che anche i papà, spesso, hanno bisogno di essere ancora figli, ma non possono confessarlo a nessuno e spero che lui conosca, ora che è in Paradiso, quello che non gli ho saputo dire: - E’ bellissimo chiamarti papà e sentirti rivolgere, a me, con un figlio mio che mi dichiara tutto il tuo affetto e che mi fa percepire il tuo perdono, per aver portato lontano da te, al Nord, tua figlia e la luce dei suoi occhi -

Occhi nei quali io lo rivedo e nella cui luce ancora mi perdo, mentre lei accenna un breve e dolce sorriso e non sa quanto, in questo momento, avrei bisogno di stare abbracciato e riposare un poco sul suo petto, come se fossi io Ilaria, perché non può proprio immaginare, quanto mi manchi suo padre e quanto, per questo, sono nel cuore inginocchiato.

 

BIOGRAFIA AUTORE 
Michele Reginamaria è in realtà lo pseudonimo dell’autore di questo brano, estrapolato dal suo breve racconto poetico “Sentimenti in ginocchio”.
Ci ha fatto sapere: “Si evince chiaramente dal titolo dell’opera (allo stato, ancora inedita) che il tema è particolarmente delicato ed i toni sono necessariamente profondi e, quindi, ritenuti “poetici”, nonostante il linguaggio in prosa e diretto (forse anche troppo diretto) da farne ritenere, la lettura, adatta ad un pubblico maturo, anche in considerazione della natura, quasi del tutto, autobiografica dei contenuti. Da qui l’esigenza dell’autore - uomo di quarant’anni, sposato da circa venti e, soprattutto, felice papà di due “bimbe” (Chiara ed Ilaria) rispettivamente di quindici e sette anni - di tutelare la sua vera identità e la riservatezza della propria famiglia.”


 
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