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Chicago culla del sindacato. E si vede Stampa E-mail
Scritto da Fabio Panciroli   
giovedì 03 maggio 2007

Innanzitutto occorre fare una premessa: negli Stati Uniti, a differenza dell’Italia e di gran parte dell’Europa, solamente l’11% dei lavoratori è iscritto ad un Sindacato. Di conseguenza si contano sulle dita di una mano le città in cui il potere sindacale è davvero forte: Chicago, lì dove le “union”  nacquero come testimonia uno splendido film di Sylvester Stallone, è una di queste.
Union americane e Sindacati italiani, poi, sono la stessa cosa solamente in linea di principio: là dove sono forti, come appunto Chicago, le Union arrivano fino ad imporre la mano d’opera locale, indicando nome e cognome del lavoratore da ingaggiare, tariffario, quota sindacale, orario di lavoro, extra per gli straordinari e per i festivi. Questo, assieme alla naturale diffidenza nell’affrontare una nuova realtà, era uno dei motivi che hanno reso la trasferta americana del Coverings, per la prima volta dopo tanto tempo, piena d’incognite, dubbi, perplessità e paure.
Per ogni operaio portato dall’Italia a montare lo stand per la fiera occorreva ingaggiarne 2 del luogo che, dopo le 17 (5 pm per dirla all’americana), faceva scattare un sovrapprezzo anche del 50%, sovrapprezzo che era pari al doppio della tariffa oraria qualora si avesse la malaugurata idea di farlo lavorare di domenica. Per non parlare dell’impianto luci: inutile sobbarcarsi il costo della trasferta per l’elettricista di fiducia; sulla scala, ad avvitare le lampadine e a tirare cavi elettrici, si parlava solamente lo “slang” americano.
Le “sedute preparatorie” alla situazione da affrontare, organizzate da Confindustria Ceramica nei mesi precedenti la Fiera, hanno dato una grossa mano a limitare i danni: per la prima volta nella storia di Coverings molti stand, di dimensioni più ridotte rispetto al solito, erano terminati il sabato pomeriggio; gli altri, dopo una bella gita architettonica la domenica, al massimo hanno chiuso il cantiere il lunedì ora di pranzo.
Qualcosina in più, magari, è pure costato; ma se “Parigi val bene una messa”, perché rinunciare a Chicago, la culla dell’architettura, “per un pugno di dollari”?



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