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Barbara Bottazzo: "Sì, faccio la carrellista e lo desidero da sempre" Stampa E-mail
Scritto da Laura Corallo   
domenica 09 dicembre 2007
Parla Barbara Bottazzo, tosta lavoratrice dell’Iride Due: “I selezionatori rimasero perplessi davanti alla mia richiesta di fare quel tipo mansione ‘maschile’...”

E’ proprio tosta. E’ questo il primo pensiero che nasce conoscendo Barbara Bottazzo 35 anni, professione carrellista. Nata a Gallipoli, si trasferisce con la famiglia a Magreta all’età di sette anni. Dal ’95 vive a Sassuolo. La sua carriera lavorativa ha inizio a 14 anni dopo la terza media, facendo i primi passi nelle ditte del distretto e dimostrando a tutti di essere una lavoratrice instancabile. Oggi, è una giovane donna, ha un marito e due figlie e vanta ben 21 anni di lavoro alle spalle. Riuscendo a realizzare il suo sogno: guidare il carrello elevatore, un lavoro prettamente maschile, che richiede forza e determinazione.

Barbara Bottazzo, carrellista in una ditta di Sassuolo
Barbara Bottazzo
 
Signora Barbara, lei svolge un lavoro tipicamente maschile. E’ stata una scelta casuale oppure ha assecondato un suo desiderio?
Ho scelto questo lavoro perché sento di esserne predisposta, fin da piccola. Ho la passione per la guida,  ho sempre sognato di prendere la patente C necessaria per guidare i camion. Il mio ingresso nel mondo del lavoro è iniziato molto presto, a quattordici anni. Dopo la terza media ho deciso di interrompere gli studi, non mi sentivo portata, mentre al contrario ho sempre amato il lavoro. Ho avuto diverse esperienze lavorative prima in una ditta di Modena che si occupava di applicazioni su collant e poi in una ditta metalmeccanica, dalla quale mi sono licenziata per problemi con i datori di lavoro. Rimasi senza lavoro per una settimana fino a quando non ho fatto domanda alla Ceramica Ricchetti. Era il 1995 ed era il mio primo lavoro in ceramica. Ricordo molto bene quel giorno: ero giovanissima e il selezionatore rimase perplesso davanti alla mia richiesta di fare la carrellista. Poche donne ricoprivano quella mansione: era considerato un  lavoro da uomini. Tant’è che durante il colloquio il responsabile di spedizione ripeteva “io le donne non le voglio”. Invece ho insistito e mi fu data una possibilità: firmai un contratto a tempo determinato per un anno fino all’assunzione, lavorando alla Ricchetti per 11 anni.  
La crisi economica della Ceramica Ricchetti nel 2005 ha costretto alla mobilità e alla cassa integrazione decine di operai. Lavoratori e sindacati si mobilitarono per protestare contro la decisione dei vertici. Ce ne può parlare?
Ricordo bene quei mesi. Ero tra gli ottantanove dipendenti che si sono affiancati al sindacato per trovare un accordo soddisfacente per tutti, obiettivo che abbiamo raggiunto ottenendo un incentivo di 8.000 euro per accettare la mobilità. Anche io accettai la mobilità rischiando la disoccupazione. Ma fortunatamente dopo due mesi sono stata assunta, sempre come cartellista, alla Ceramica Iride 2.  
Secondo lei per un datore di lavoro è sempre difficile assumere una donna per ricoprire determinate mansioni?
Per una donna è comunque difficile ricoprire lavori come il quello che svolgo io. Ho accumulato anni di esperienza in questo lavoro che, ripeto, è il lavoro dei miei sogni, mi piace e lo faccio con impegno. Ma le difficoltà sono tante perché i datori di lavoro ritengono che la vita delle donne sia piena di problemi come la famiglia, i figli. Preferiscono non rischiare e quindi scelgono un uomo.
Le piace la città di Sassuolo? Se Lei fosse il Sindaco quali miglioramenti apporterebbe?
Io amo Sassuolo, mi piace viverla. Devo dire che la società sassolese è molto cambiata nel corso degli anni. Ricordo che negli anni ’80, ero piccola, anche gli immigrati meridionali non erano tollerati. Le discriminazioni erano all’ordine del giorno, come ad esempio trovare un appartamento in  affitto. Alle scuole elementari ho sofferto molto, mi sentivo discriminata per essere considerata una “terrona”. Oggi Sassuolo sia una città insicura, la delinquenza è aumentata soprattutto in certe realtà come il quartiere Braida o zone come il sottopasso che porta al Panorama.  Penso occorra maggiore selezione nel fare entrare gli stranieri, dando l’ opportunità di rimanere solo a chi ha voglia davvero di lavorare.



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