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Guantini a righe Stampa E-mail
Scritto da E.S.   
domenica 09 dicembre 2007

Era arrivato tardi, quando già il freddo aveva reso il terreno duro e rugoso e i bambini, abbandonate le palette, preferivano rincorrersi nel cortile disegnando traiettorie colorate.
Aveva quattro anni e si chiamava Federico, gli occhi seri e compiti su una faccetta tonda parevano guardare al mondo e alla vita con attenzione e diligenza, la bocca invece, vagamente imbronciata, tradiva lo sforzo e l’impegno di chi non vuol sbagliare lungo il cammino.
Era arrivato a sezione avviata, ma non aveva creato grossi problemi alle insegnanti, non aveva pianto, strillato o infastidito i compagni, e gli animaletti dello scaffale blu lo avevano da subito affascinato.
Per la verità un problema c’era, o forse due, ma la Lina la sua insegnante diceva sempre che i bambini vanno accolti là dove sono, e quel bambino in quel momento era là con i suoi guantini a righe incollati alle mani e la bocca chiusa…
Perché Federico se ne stava tutto il giorno a scuola calzando con evidente soddisfazione morbidi guantini a righe; giocava, osservava, ascoltava e non parlava…
La Giulia, la Marta avevano provato con stratagemmi vari a indurlo a parlare, ma Federico si era mostrato impermeabile a ogni manovra e in quanto ai guantini, sfilarglieli significava esporre i propri timpani a seri rischi, nonché incorrere in qualche morso.
Le insegnanti tessevano ogni giorno pezzetti di rapporto e aspettavano…
Chi invece cercava risposte immediate era la mamma di Federico: società bene del paese, pantaloni firmati, chioma vaporosa: “Non capisco, Chicco a casa è un gran chiacchierone, non tace mai… racconta tante cose, ma perché qui non parla?” E sul viso la stessa aria vagamente imbronciata del figlio.
Così scorreva il tempo sui guantini a righe… Poi un giorno successe…
La Lina scriveva ancorata ad una piccola lampada, nella penombra il respiro leggero dei bambini scandiva il riposo pomeridiano: “Cosa fai?” la voce chiara e sicura parve galleggiare nel buio della stanza, la Lina stupita osservò Federico ancora sveglio… “Faccio i compiti” bisbigliò.
“Sono difficili?” di nuovo la voce di Federico parve galleggiare “Un po’” “La mia mamma a casa scrive con il computer…”
Iniziò così, e fu come vagabondare in vicoli e sentieri sconosciuti, inseguendo macchie di sole e d’ombra tracciate dalle parole e dai silenzi di Federico.
Raccontava Federico e nel buio la sua voce si inerpicava lieve sui respiri dei bambini, e tutto il suo mondo pareva sfilare sui nastri dorati delle tapparelle abbassate.
Fu così per tanti pomeriggi, un dialogo fitto fitto punteggiato da guantini a righe sempre più imbarazzanti.
Poi un pomeriggio (alle tapparelle il vento e le viole di primavera) Federico bisbigliò: “Diglielo!”
“Cosa devo dire” rispose distratta la Lina.
“Diglielo al mio papà”
“Va bene ma cosa devo dire al tuo papà?”
“Glielo devi dire di non picchiare la mia mamma, la mia mamma piange…”
“Piange?”
Ripeté la Lina all’erta.
“Sì ‘gli’ fa male il mio papà e la mamma piange, anch’io piango, io gli do un pugno se picchia la mamma” e un guantino a righe si agitò minaccioso.
Quel giorno nella penombra parole lievi raccontarono un segreto pesante e lo affidarono.
Sino ad allora, per quel muto dialogo di specchi che si crea tra madri e figli, Federico aveva custodito il segreto della madre, e come la madre, l’aveva avvolto in silenzio.
I segreti non si raccontano, i segreti si nascondono!
Così tutte le mattine Federico metteva guantini all’anima, per non raccontare, per non lasciare tracce, per nascondere con cura parole sporche di emozioni.
Copriva la sua anima come copriva le sue manine perché anche lì faceva freddo.
Pochi giorni dopo Federico si alzò come sempre e si preparò per la merenda con i compagni, ma sulla brandina, nelle pieghe della coperta, si intravedevano due guantini a righe.

 

BIOGRAFIA AUTORE

E.S., 1954, insegnante.
Fatti e nomi citati nel racconto sono inventati.



 
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