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La Biagi e il consulente Stampa E-mail
Scritto da Daniele Dieci   
venerdì 09 novembre 2007

“Il precariato nasce da un uso sbagliato della Biagi”. Elisa Rossi, consulente del lavoro: “La legge Biagi ha portato nuove opportunità. Il precariato semmai nasce da un utilizzo sbagliato della legge stessa da parte di molti furbi…”. “Andrebbe aumentato il periodo di prova che precede un’eventuale assunzione a tempo indeterminato, in modo da concedere al datore di lavoro più tempo per affrontare una decisione così importante”


Continua la nostra inchiesta sul mondo del lavoro. Nello scorso numero abbiamo approfondito i concetti di flessibilità e precariato con il responsabile della Cgil Sassuolo Rocco Corvaglia; ora ci siamo rivolti alla dottoressa Elisa Rossi, consulente del lavoro dello studio Rossi Associati. Il punto di partenza è sempre lo stesso: come la legge Biagi\ legge 30 ha modificato i rapporti tra datore di lavoro e dipendente? Come, in sostanza, è cambiata la regolamentazione contrattuale a partire dal 2003? Tanti, anche tra gli addetti, non conoscono a fondo le logiche della modernità: un errore che può condizionare, in peggio, il futuro di ogni lavoratore.
Dottoressa Rossi, ci può spiegare quali sono, a suo modo di vedere, i cambiamenti sostanziali che ha introdotto la legge Biagi\ 30?
Innanzitutto credo sia importante sottolineare una prima cosa: la legge Biagi ha portato tante nuove opportunità, non è fonte di precariato. Il precariato semmai nasce da un utilizzo sbagliato della legge stessa da parte del datore di lavoro.
In secondo luogo il testo di legge ha introdotto i contratti a progetto, eliminando i preesistenti contratti co.co.co. (collaborazioni coordinate e continuative). L’assunzione adesso deve quindi essere finalizzata al raggiungimento di un progetto; il contratto si estingue nel momento in cui il progetto è stato realizzato.
Che cosa intende quando parla di “utilizzo sbagliato della legge”?
Intendo il datore di lavoro che reitera più volte un contratto a termine, intendo il datore di lavoro che stipula un co.co.pro. con chi invece non segue nessun progetto, ma svolge una mansione meccanica e ripetuta, intendo tutti i “ furbi” che pensano di eludere la legge; tutto questo è possibile grazie alla mancanza di seri controlli.
Quindi, se ho capito bene, a creare la sensazione di precarietà in tanti lavoratori italiani non è la legge, ma è una sua applicazione sbagliata, tanto diffusa nel nostro Paese.
Esattamente. Il problema credo stia tutto qua. I giovani ormai non possono più pensare di poter lavorare 45 anni nello stesso posto, come hanno fatto i loro genitori. Il mondo è flessibile, richiede flessibilità ed elasticità lavorativa. Anche nei paesi nordici la realtà è la stessa: la maggior parte dei contratti stipulati non supera i due anni di durata. E’ chiaro però che lo stato deve garantire ai nuovi lavoratori ammortizzatori sociali che gli permettano di vivere e sostentarsi nel periodo che intercorre tra la mansione appena terminata e la mansione successiva. Deve dare la possibilità al lavoratore, insomma, di riqualificarsi per essere in grado di rispondere alle esigenze della società. Questo, ovviamente, comporta dei grossi investimenti, e di soldi in Italia, ora come ora, non ce ne sono.
Il datore di lavoro cosa ci guadagna ad utilizzare queste forme contruattali così flessibili? Risparmia sui contributi da versare?
No, i contributi da versare sono gli stessi. Anche le aliquote per un co.co.pro. stanno salendo: si era partiti da un 10%, ora siamo già al 24%. La differenza con l’aliquota del 39%  dei contratti indeterminati si sta assottigliando sempre di più.  Il vantaggio sta tutto nella più agile gestione dei lavoratori. Oggi, per decidere se assumere a tempo indeterminato un lavoratore, il datore ha tempo otto giorni, attrraverso i quali deve capire se il servizio offerto è all’altezza delle sue richieste. Dopodichè deve scegliere se legarsi a vita con il lavoratore. Si capirà che otto giorni sono davvero pochi, ed è per questo che un datore di lavoro si sente con le mani più libere di fronte alla possibilità di utilizzare forme più flessibili di contratto, che gli permettano di  controllare il lavoro erogato e, in caso di risultati insufficienti, di cambiare senza grossi oneri e problemi burocratici.
Quali sono, secondo lei, le migliorie da apportare al mondo del lavoro per renderlo meno precario e più accessibile?
Ripeto, io non cambierei la legge Biagi\30. I malfunzionamenti dipendono dall’utilizzo sbagliato che ne fanno i delinquenti, perchè così bisogna chiamarli. Io punterei molto di più sui controlli, per togliere quell’atteggiamento, tipico del nostro Paese, di chi è sicuro di riuscire ad aggirare la legge.
 Inoltre, aumenterei il periodo di prova che precede un’eventuale assunzione a tempo indeterminato, in modo da concedere al datore di lavoro più tempo per affrontare una decisione così importante. Per quanto concerne invece i co.co.pro. vorrei vedere più serietà nell’individuazione del progetto: dove c’è studio e ricerca alle spalle e affinità tra gli studi effettuati e il progetto, allora il co.co.pro. ci può stare; dove invece si fà riferimento a mansioni più basse e degradanti, il co.co.pro. non mi convince. 



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