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Rita Levi Montalcini: "Non sappiamo valorizzare le risorse" Stampa E-mail
Scritto da Laura Corallo   
martedì 09 gennaio 2007

Una chiacchierata sulla fuga dei cervelli all'estero, l’eutanasia, le polemiche sui Senatori a vita, le speranze per i giovani.
Il Sassolino ha intervistato Rita Levi Montalcini, premio Nobel per la Medicina

Il premio Nobel Rita Levi Montalcini
RIta Levi Montalcini a Sassuolo (foto Corrado Corradi)


Ha 98 anni e si definisce un’agnostica credente. A prima vista appare una donna fragile, con la sua figura  esile ma molto elegante e i suoi capelli grigi acconciati con un ordinato chignon. Ma occorre una grande forza interiore ed un ottimismo non comune per dedicare una vita intera alla ricerca scientifica e agli altri mantenendo fermo un punto: credere fino alla fine nei valori. E in questo Rita Levi Montalcini, premio nobel per la Medicina nel 1986, senatrice a vita e icona storica del nostro Paese, non può che essere un esempio per tutti.  
Signora Montalcini, l’Italia rimane il fanalino di coda per la ricerca scientifica. La conseguenza è la fuga di cervelli, con  giovani qualificati costretti ad andare all’estero. Lei stessa è rientrata in Italia dopo molti anni di lavoro all’estero. Ma se i cervelli vanno all’estero, cosa rimane in Italia?
In Italia è mancata la sinergia tra industria, istituti di ricerca e università. E' il sistema complessivo del Paese che non riesce ad adeguarsi al fine di riconoscere e di attrarre le qualità e le competenze nel campo scientifico. Non si tratta solo di scarsi finanziamenti ma di scarsa valorizzazione dei giovani. Abbiamo tante risorse umane ma non siamo in grado di sfruttarle. In ogni caso penso che per capacità intellettuale i giovani  ricercatori italiani non solo sono alla pari ma hanno maggiori possibilità di riuscita dei ricercatori stranieri.  I giovani italiani che noi mandiamo all’estero immediatamente diventano i migliori perché non sono solo le capacità mentali a determinare il successo ma soprattutto l’impegno che uno studioso mette nel proprio lavoro.
Con il caso Welby, si è riproposta la questione drammatica dell’eutanasia. Qual è la sua posizione?
Non dimentichiamoci che esiste un testamento biologico. Ognuno deve poter decidere per se stessi ed è giusto chiedere l’aiuto degli amici e dei medici qualora soffrissimo troppo o mancassimo nelle capacità mentali, per uscire con dignità dalla vita. Ma sono contraria al fatto che vi sia qualcuno che decida per la vita altrui.   
I senatori a vita sono più che mai al centro dell'attenzione perché con i loro voti potrebbero determinare o meno la durata dell'attuale governo. Cosa pensa delle polemiche scaturite a proposito?
Io penso che i senatori a vita hanno i diritti che la Costituzione riconosce, cioè di agire secondo le proprie capacità mentali ed intellettuali. Non c’è motivo, come ha chiesto il senatore Francesco Cossiga, di non farlo, perché una volta che la Costituzione ha riconosciuto al Senatore a vita il diritto di votare, esso ha il dovere di farlo.
Per i giovani è molto difficile essere ottimisti in una fase storica caratterizzata dalla precarietà nel lavoro, dalle difficoltà nel costruirsi un progetto di vita e dalla crisi dei valori: in che modo è possibile affrontare questa difficile fase? 
La vita non è mai priva di difficoltà, non lo è mai stata per nessuna delle generazioni passate. Tutto sta nel sapere usare creativamente la propria intelligenza e la propria cultura, cercando il lato positivo in tutto ciò che ci accade. E soprattutto combattere le forme di pregiudizio, il razzismo e l’innata tendenza alla distruzione.



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