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Tempi di bilanci, di flessioni e riflessioni, di visioni futuribili Stampa E-mail
Scritto da Luigi Giuliani   
martedì 01 aprile 2008

Prevedere una quota di produzione, fra pochi anni, vicina a 300 milioni di metri quadri, non è cosi distante dalla realtà

E’ curioso notare come i nomi di diversi imprenditori che prima di altri hanno fiutato certe cose inizino tutti con lo stessa lettera…

TEMPI DI BILANCI e di riflessioni sul futuro del distretto ceramico, anzi tempi di visioni futuribili. Minimizzare le flessioni sui mercati registrate anche nei primi due mesi di quest’anno non appare una strategia virtuosa; demonizzare la concorrenza d’altri continenti ed il “sistema paese” avverso all’industria, decisamente non arresta la clessidra del ridimensionamento del distretto di Sassuolo-Scandiano. Prevedere una quota di produzione, fra pochi anni, vicina a 300 milioni di m2, non è cosi distante dalla realtà. Un’ipotesi che scaturisce analizzando alcuni valori macro e dando per assunte le seguenti tendenze: aumenti dei costi di trasporto, energia e materie prime importati a costi incontrollabili, l’ambizione dell’ euro data la visione post-industriale della banca centrale europea ed il declino del dollaro, figlio della strategia dell’indebitamento salva economia americana. I mercati dei bisogni, con crescente potere d’acquisto sono distanti; quelli domestici (Europa occ.) sono mercati dei bisogni saturi. Per molti è razionale pensare che i mercati di riferimento per il distretto sassolese rimangono il domestico e dei Paesi limitrofi, più qualche nicchia sparsa nel mondo. La somma del potenziale di questi è appunto 300-350 milioni di metri quadri.  

LA TENDENZA è quella di delocalizzare le produzioni nei mercati dei bisogni; produrre intelligence fidelizzata e mobile, affinché le produzioni periferiche siano produttive e controllate, è invece una disciplina ancora incompresa. Il fattore temporale, in queste situazioni, diventa decisivo. I conflitti d’interessi fra gli attori (indotto, produttori e distribuzione), una volta complementari, sono latenti o celati, ma incalzanti. I primi, (produttori di beni strumentali, colorifici….) sono già presenti nei nuovi distretti mondiali ed ovunque nasce una ceramica, offrendo a questi la stessa intelligence e strumenti che propongono al distretto di Sassuolo; gli ultimi (distributori) alimentano la crescita di nuovi distretti per convenienza competitiva. A questo punto sorge spontanea una domanda: come difendersi o addirittura attaccare? Consorziarsi fra marchi con attitudini compatibili e/o complementari è solo uno dei diversi modi per difendersi ed accelerare il processo d’internazionalizzazione, minimizzando l’investimento ed il rischio. Non è utopia creare, in comune, dei minicomprensori satelliti in tutte le regioni più interessanti del mondo. Sulla scelta degli insediamenti i criteri sono abbastanza individuabili: fondamentalmente i mercati dei crescenti bisogni e in fase d’avanzata industrializzazione. Asia, per la distanza e bisogni; Medio Oriente, per l’energia e lo sviluppo edilizio; est Europa, per tutti i fattori in questione, materie prime comprese. Questo non può che suggerire una nuova interpretazione dell’organizzazione del business, non più movimentazione dell’hardware, bensì, far viaggiare il software.

FARE EMIGRARE le produzioni (magari solo quelle di prodotti basici) nei mercati di maggior prosperità non significa perdere posti di lavoro, bensì incrementare le quote di mercato globale e creare maggiori ricchezze per generare e formare nuove figure professionali nel distretto. Essere partecipe del mercato, quale fornitore di beni o servizi, richiede l’assunzione di nuove abilità manageriali. La globalizzazione dei mercati suggerisce nuove forme organizzative se non altro per l’elevata competitività; quando le transazioni economiche erano meno numerose ed i tempi d’introduzione di un nuovo prodotto più lunghi, e quando c’erano ancora ampie sacche del mercato finale da esplorare e sfruttare, gli scambi di mercato e l’organizzazione gerarchica avevano un senso: piccole o grandi aziende organizzati verticalmente, con un controllo manageriale gerarchico, potevano produrre beni standardizzati con un prolungato ciclo di vita, dato che era possibile ammortizzarne i costi pur mantenendo un controllo centralizzato su ricerca, sviluppo, pianificazione della produzione e canali distributivi. Negli ultimi anni, nell’ambiente economico sono cambiati diversi fattori critici. Il drastico aumento del costo dell’energia, i costi ed i rischi crescenti associati alla ricerca ed allo sviluppo, l’accorciamento dei cicli di vita del prodotto, l’accresciuto costo del lavoro; lo spostamento delle preferenze dei consumatori verso beni personalizzati, prodotti su ordinazione; la competizione globale ed inferiori margini di profitto hanno contribuito, tutti insieme, a rendere lo scambio di mercato ed il modello gerarchico sempre più obsoleti. L’economia globale sta diventando sempre più densa e veloce. Nessuna impresa, da sola, può efficacemente competere come agente autonomo che opera esclusivamente attraverso il meccanismo dello scambio di mercato: oggi fare da soli è un passaporto per l’estinzione. Le aziende possono sopravvivere solo mettendo in comune risorse, condividendo rischi e flussi, di entrare in relazioni basate sui network: ciò significa sacrificare parte della propria autonomia in cambio dei vantaggi imprenditoriali e della sicurezza che discendono dal modello reticolare.

PER QUANTO CI SIA ancora concorrenza fra le imprese, i mercati non sono destinati a scomparire nel breve termine; sempre più spesso le cooperazioni, sulla base d’accordi d’outsourcing, co-sourcing, condivisione degli utili, condivisione dei risparmi ed altre risorse, sta diventando la norma. In un’economia globalizzata, l’interdipendenza delle imprese organizzate in rete sono le uniche in grado di affrontare scambi di tale velocità complessità e varietà. A conclusione, va l’ammirazione per gli imprenditori che in passato hanno saputo, con le giuste intuizioni, alimentare il successo del distretto sassolese: chi con una precoce internazionalizzazione del marchio e della produzione; chi con una forte specializzazione degli stabilimenti, razionalizzando la produzione garantendo cosi un’esasperata produttività scambiando poi, fra i marchi del gruppo, i prodotti; chi investendo in ricerca e tecnologia capaci di fondere in prodotti sostitutivi dei lapidei, qualità ed estetica; chi concentrando la produzione su prodotti comodity spesso abbandonati da altri, garantendosi cosi il consolidato mercato delle catene a carattere corp.identity. E’ curioso notare che questi sono quasi tutti imprenditori i cui nomi iniziano con la lettera… “M”.



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